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La troika spinge la Grecia nel baratro

Licenziare, licenziare, licenziare. Non sanno dire altro i rappresentanti di FMI, Banca Centrale e Commissione Europea arrivati ieri ad Atene a dettare la linea al sempre più debole Antonis Samaras.
In un paese dove la disoccupazione ha superato il 25% e dove a decine di migliaia i giovani emigrano verso altri paesi alla ricerca almeno della sopravvivenza, i rappresentanti dell’UE e dei mercati ‘chiedono’ al primo ministro ellenico di sforbiciare di almeno 25 mila unità gli organici della pubblica amministrazione. Subito. Se no non sbloccheranno i 2,8 miliardi di euro promessi come ulteriore tranche degli ‘aiuti’ (ma è solo un prestito) ad una Grecia con le casse sempre più vuote.

Stamattina i rappresentanti della famigerata troika – Matthias Mors (Ue), Claus Mazuch (Bce) e Mark Flanagan e Bob Traa (Fmi) – sono a colloquio con il ministro delle Finanze, Yannis Stournaras, per discutere con lui la parte economica della cosiddetta riforma amministrativa che riguarda la mobilità (condizione che costituisce il primo passo verso il licenziamento) di 25.000 dipendenti statali entro la fine dell’anno e la riduzione dell’Iva sui prodotti di ristorazione dall’attuale 23% al 13%. Il governo, che fa resistenza sul licenziamento dei 25 mila impiegati, ha comunque già avviato le procedure per identificare e quindi licenziare circa 8.000 statali ritenuti colpevoli di aver violato il codice di condotta o di aver usato una falsa documentazione per ottenere il posto di lavoro. Un modo per dire che “si, licenziamo gli statali, ma non perché ce lo ordina la troika, e comunque solo quelli che hanno fatto i furbi”.

Alle 14:00 di oggi, inoltre, i rappresentanti della troika incontreranno il ministro del Lavoro, Yannis Vroutsis, per discutere con lui le modifiche da apportare al sistema dei contributi previdenziali e il nuovo sistema di definizione dello stipendio base nel settore privato. L’obiettivo dichiarato dei rappresentanti della troika è quello di sforbiciare ulteriormente le retribuzioni arrivate già a livelli da fame.

Intanto ieri un dato ha confermato che il popolo greco è stato portato, in pochi anni di cure dell’Unione Europea, a livelli di povertà paragonabili a quelli di un paese che esce da una guerra combattuta sul suo suolo. In nome del pagamento del debito pubblico e degli interessi sui prestiti accordati dai cosiddetti creditori internazionali, gli indici della qualità della vita sono letteralmente crollati. Ma nonostante l’ubbidienza dei vari governi ellenici ai diktat dei mercati in nome del risanamento, ora il paese si trova ancora nel mirino delle agenzie di rating e di altri enti privati. Come l’agenzia Mat Lystra, secondo la quale la Grecia non può più essere definito, in base ai cosiddetti “Indici Russell”, un paese sviluppato. Secondo l’istituto “la Grecia non ha rispettato i criteri di rischio operativi e macroeconomici tipici di un mercato sviluppato, ma di quello di un paese emergente”.

Sempre di ieri la notizia che la crisi economica ha prodotto un’altra vittima nel già decimato settore dei media ellenici. A 61 anni dalla sua fondazione nel 1952, infatti, é stata annunciata la chiusura della testata Athens News, l’unico quotidiano in lingua inglese pubblicato nella capitale greca. Il sito online della testata, d’altronde, era già fermo da mesi e i 15 dipendenti non ricevevano lo stipendio da settembre.

Le proteste popolari, malgrado tutto, continuano. Migliaia di agricoltori provenienti da tutta la Grecia sono di nuovo arrivati ad Atene per manifestare davanti al Parlamento contro l’aumento delle tasse e il caro carburanti che sta mettendo in ginocchio tutto il settore e che già ha provocato una rivolta durata più di un mese con presidi e blocchi di strade e autostrade. Anche ieri i manifestanti, hanno bloccato le strade nazionali con i loro trattori. 

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