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Kabul, l’assedio latente della “città proibita”


Un uomo in bici si è fatto esplodere nei pressi del Ministero della Difesa afghano in Street Roundabout Wazir uccidendo nove persone e ferendone alcune decine. Il luogo non è distante dal compound dove sorgono le maggiori ambasciate fra cui la statunitense e l’italiana ed è una zona completamente cinta da alte mura di cemento armato e controllatissima da soldati dei reparti Isaf e dell’esercito afghano in costante
assetto di guerra. Il capo del Pentagono, scortato da pattuglie della Nato e da contractors privati presenti in numero crescente in città, non era in quel luogo ma l ‘attentato pur sanguinoso aveva uno scopo dimostrativo. 
Le forze talebane con questo genere di attacchi tendono a tenere il luogo simbolo del Paese sotto pressione e puntano alla funzione propagandistica degli attentati stessi. Infatti fuori dalla cittadella murata la presenza occidentale sia militare sia civile è resa scarsamente praticabile proprio dall’insicurezza introdotta da simili 
azioni. Il portavoce delle Forze Armate afghane Zahir Azimi sostiene che la situazione sia sotto controllo, però lo stesso ritiro delle truppe statunitensi per la primavera del 2014 potrebbe subire un ridimensionamento nel numero dei soldati da rimpatriare. Il problema maggiore risiede nel passaggio delle consegne all’esercito locale dimostratosi in tantii casi insicuro per l’infiltrazione praticata da militanti talebani, come hanno dimostrato clamorosi attentati compiuti sino all’anno scorso all’interno di quella che è diventata
la “città proibita” delle ambasciate. Invece la tipologia dell’attentato del singolo kamikaze rientra, come dicevamo, nel mantenimento sotto pressione degli stessi luoghi considerati sicuri dalle truppe occidentali in cui si svolge l’attività diplomatica e della cooperazione. Ieri una componeti democratica, il partito Hambastaghi, ha tenuto in un luogo chiuso della capitale una partecipata manifestazione di un migliaio di persone per l’anniversario dell’8 marzo. Negli interventi alcune attiviste hanno sottolineato come nel difficile percorso della democratizzazione del Paese, dichiarato da tanti e addirittura dallo stesso Karzai, un ruolo centrale non potrà che essere giocato dal genere femminile tuttora costretto a lottare contro il maschilismo tribale diffuso non solo sulla sponda talebana ma nell’attuale governo. Infatti le norme dell’Esecutivo, avallate dal Parlamento, che di recente hanno reitrodotto una sorta di tutela maschile negli stessi spostamenti delle donne costituiscono un ritorno a leggi restrittive d’epoca talebana e mostrano l’ambiguità e il doppiogiochismo del presidente afghano e di taluni Signori della guerra che partecipano al suo governo. 

Da Kabul, Enrico Campofreda, 9 marzo 2013

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