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Intervista: “In Colombia lottiamo per una pace giusta”

All’attivista per i diritti umani esiliato in Spagna, membro dell’organizzazione ‘Colombianos y colombianas por la Paz” (“Colombiani/e per la pace”) abbiamo posto alcune domande sul processo negoziale in corso tra guerriglia colombiana e governo di Bogotà, sul tema dei prigionieri politici, del paramilitarismo e del ruolo dell’ex magistrato spagnolo Baltazar Garzòn.

Prima di tutto ti chiedo di spiegarci cos’è “Colombianos y colombianas por la paz” e quali sono i suoi obiettivi.

E’ un collettivo nato nel settembre del 2008 quando ormai era evidente che esisteva una mancanza di volontà da parte del governo guidato allora da Uribe Velez non solo di iniziare un processo di pace ma anche semplicemente di cercare una soluzione anche solo di tipo umanitario alla situazione degli ostaggi della guerriglia. Quindi chiedemmo al presidente del Venezuela Hugo Chavez e alla senatrice liberale colombiana Piedad Cordoba che mediassero per la liberazione di queste persone. Avviammo allora su questo tema un meccanismo di scambio epistolare con le organizzazioni guerrigliere – sia le Farc sia l’Eln – che risposero alle nostre lettere. Uno scambio incentrato sulle possibili soluzioni al conflitto in corso in Colombia ma anche sul tema concreto dei negoziati per la liberazione degli ostaggi nelle mani delle organizzazioni guerrigliere attraverso la mediazione dei facilitatori internazionali. In queste lettere abbiamo anche affrontato le caratteristiche di un processo di pace possibile e giusto e il tema delle condizioni e della liberazione dei tanti prigionieri politici.

Quanti prigionieri politici esistono oggi in Colombia e che ruolo ha il tema della loro liberazione all’interno dei negoziati in corso tra governo di Bogotà e guerriglia?

Il numero di prigionieri e prigioniere politiche attualmente rinchiusi nelle carceri colombiane è di circa 7500. Una cifra che include i prigionieri di coscienza, cioè militanti politici o di organizzazioni sociali che sono in prigione e private della propria libertà a causa della loro militanza sociale, delle proprie idee o della propria appartenenza a gruppi ad esempio di contadini organizzati. Questo tema non è ancora molto centrale all’interno dei negoziati nonostante che a febbraio le Farc abbiano diffuso un comunicato nella quale denunciano le terribili condizioni dei prigionieri e delle prigioniere politiche chiedendo di risolvere il problema. Ma lo stato colombiano non ha nessuna intenzione di dare una soluzione al problema dei prigionieri politici e alcuni di questi negli ultimi anni sono morti nelle celle per mancanza assoluta di assistenza.

Un tema che ha eccitato la stampa internazionale è rappresentato dai supposti cambiamenti radicali tra la strategia del precedente presidente colombiano Uribe e quello attuale Santos. In particolare in tema di paramilitarismo. Ci sono stati dei cambiamenti così sostanziali?

Si, ci sono stati dei cambiamenti. Ma non hanno certo portato alla sparizione del fenomeno del paramilitarismo. Ai tempi del governo di Alvaro Uribe si portò avanti un processo di assoggettamento, di smobilitazione e di incorporazione nelle strutture dello stato dei gruppi paramilitari. Ma sapevamo già allora che questo processo sarebbe stato molto ambiguo, ed a qualche anno di distanza è provato che non ha affatto portato alla smobilitazione dei paramilitari nei confronti dei quali anzi ha implementato una serie di misure di impunità. Di fronte alle proteste di alcuni gruppi o dirigenti delle varie milizie il governo, timoroso di possibili denunce rispetto alle proprie responsabilità e complicità nel fenomeno, scelse di estradare negli Stati Uniti alcuni capi paramilitari per impedirgli di rivelare dettagli scomodi per l’esecutivo e la struttura del potere statale. E quindi non possiamo certo dire che oggi il paramilitarismo sia scomparso. Semmai abbiamo assistito ad un processo di “reingegnerizzazione”, di ridisegno del fenomeno all’interno del quale le milizie paramilitari continuano ad operare al servizio dei latifondisti contro le organizzazioni dei contadini e popolari. E negli ultimi anni anche grandi multinazionali straniere stanno facendo ricorso ai servizi dei paramilitari per proteggere i propri investimenti in Colombia e controbattere le mobilitazioni dei movimenti sociali e delle organizzazioni dei lavoratori.

Un’ultima domanda. Hai parlato in questi giorni del ruolo negativo che ha avuto anche in America Latina il giudice spagnolo Baltazar Garzon, che pure continua ad essere considerato un magistrato progressista da una grossa parte delle opinioni pubbliche progressiste per i suoi interventi contro la dittatura in Cile o in tema di desaparecidos in Argentina.

Per noi è molto importante il tema della memoria storica. E’ per questo che è imprescindibile che non si dimentichi il ruolo estremamente negativo giocato dall’ormai ex giudice Baltazar Garzon. Perché difese nei tribunali la tesi che quello colombiano era uno stato democratico e quindi il suo operato non poteva essere indagato in procedimenti giudiziari in corso in Spagna. Poi perché è stato consigliere prima del presidente Uribe e poi di quello attuale, Santos, prestandosi a collaborare nei processi della magistratura colombiana contro alcuni attivisti dei movimenti per i diritti civili e per la pace, compresi alcuni nostri compagni. Sono solo alcuni degli esempi che ci dimostrano che il suo ruolo non è mai stato molto limpido, che il suo operato lascia molto a desiderare e che non si tratta quindi di un difensore leale ed onesto dei diritti umani. Per questo noi quando parliamo di memoria storica vogliamo che questa sia integrale e senza rimozioni. Anche nel caso di un personaggio che è stato a lungo centrale nella repressione dei movimenti politici nel Paese Basco ma anche di movimenti sociali e di sinistra in America Latina.

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