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Colombia: il nodo della terra nelle trattative tra governo e Farc

“Smilitarizzare le aree rurali, la società e lo Stato, il che implica l’abbandono della dottrina della ‘sicurezza nazionale’ imposta dal Pentagono”. E’ questa la prima, significativa proposta inserita in un elenco di nove “proposte minime di giustizia sociale territoriale e politica macroeconomica per la pace” divulgata dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) dall’Avana, dove sono da tempo in corso trattative con il governo di Bogotà.

A formularla è stato il capo negoziatore delle Farc, Iván Márquez, al suo arrivo, ieri, al Palazzo delle Convezioni della capitale cubana che ospita il processo di pace tra la guerriglia e il governo all’inizio del settimo ciclo di colloqui. Di fronte ai giornalisti, Márquez ha inoltre deplorato l’uccisione, il 5 marzo, di almeno 16 militari in un’imboscata dei ribelli nella regione del Cauca, confermata ieri dal segretariato delle Farc: “Vorremmo che questi dialoghi di pace si realizzassero in uno scenario tranquillo…e con una tregua bilaterale” ha detto il comandante delle Farc reiterando la proposta di un cessate-il-fuoco concordato, finora sempre esclusa dal governo che ha continuato a condurre l’offensiva militare anche nel corso del negoziato infliggendo peraltro gravi perdite all’organizzazione guerrigliera.

Nonostante il contesto difficile, Márquez si è detto ottimista sul raggiungimento di un’intesa sul tema della concentrazione della terra nelle mani di pochi grandi latifondisti, naturalmente ostili al processo di pace. Per le Farc occorre moltiplicare le cosiddette ‘zone di riserva contadina’, comunità autonome previste dalla legge ma osteggiate dai latifondisti e dai settori più reazionari del governo colombiano, uno degli ultimi di stretta osservanza statunitense nel continente americano. Nell’ambito del primo punto dell’agenda delle trattative la guerriglia ha proposto la creazione di 59 ‘zonas de reserva campesina’ su un territorio di 9 milioni di ettari. Secondo una legge del 1994 si tratta di distretti riservati a comunità indigene, afro e contadine a cui vengono garantite condizioni di autonomia e sicurezza, sebbene la normativa non sia mai stata dettagliatamente regolamentata. Tuttavia, l’idea di destinare 9 milioni di ettari di terra ad aree speciali è stata seccamente respinta dal ministro dell’Agricoltura, Juan Camilo Restrepo, secondo il quale “ciò condurrebbe alla creazione di una serie di repubbliche indipendenti”. La Colombia conta attualmente solo sei ‘zonas de reserva campesina’, in cui vivono 75.000 persone, su un territorio che copre in tutto 830.000 ettari, in base a dati ufficiali. Il loro scopo è mantenere la suddivisione in piccoli lotti agricoli ed evitare grandi concentrazioni di proprietà terriera, in un paese in cui il 52% delle grandi estensioni coltivabili è in mano all’1,15% della popolazione. Il problema della terra è tra le principali cause del sollevamento in armi delle Farc nel 1964.

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