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Vertice arabo, il Qatar ormai sulla via di Damasco

Doha e Tunisi, rappresenteranno oggi realtà arabe molto diverse. Mentre nella capitale tunisina si apre il Forum Sociale che guarda al progresso, a Doha comincia il vertice annuale della Lega araba dominato dallo scontro settario a sfondo religioso e degli interessi strategici delle monarchie del Golfo. E’ un summit con il quale il Qatar, nano con il pugno di un gigante, esalta la sua linea di “politica estera” fatta di generosi finanziamenti volti a comprare le decisioni di governi e movimenti arabi. Lo sceicco Hamad bin Khalifa al Thani supera per intraprendenza persino gli esperti manovratori sauditi. Tra oggi e domani il regnante qatariota lavorerà, con ottime possibilità di successo, per scrivere la parola fine sul regime siriano di Bashar Assad e per aprire la strada all’instaurazione anche a Damasco di un regime islamista controllato dai Fratelli musulmani.

E’ uno dei tanti paradossi della politica mediorientale, perchè la Fratellanza è guardata con sospetto (e persino repressa) in Qatar e nel resto del Golfo. Ma in Siria è utile per far crollare l’alawita Assad, il principale alleato arabo del potente e influente Iran sciita.

Al centro del vertice a Doha c’è la Siria. Il Qatar la scorsa settimana è riuscito a realizzare il punto decisivo al quale lavorava da tempo: la formazione durante una riunione a Istanbul di un governo dell’opposizione siriana, alternativo a quello ufficiale di Damasco (già estromesso un anno fa dalla Lega araba) e che oggi invierà a Doha il suo “premier” appena nominato, Ghassan Hitto, un siriano con passaporto americano che ha vissuto due terzi della sua vita in Texas, dove ha lavorato nel settore delle comunicazioni e partecipato attivamente ad iniziative umanitarie di associazioni islamiche locali.

Un “primo ministro” imposto dallo sceicco al Thani, che durante la riunione della scorsa settimana in Turchia ha fatto la voce grossa per impedire la nomina di altri candidati più graditi ai 66 membri della Coalizione Nazionale (Cn) delle forze di opposizione. Decisivi per la nomina di Hitto sono stati i voti dei 26 membri del Consiglio nazionale siriano (Cns), la componente più importante della Cn e controllata dai Fratelli musulmani, che ha operato in costante contatto telefonico con Doha durante i negoziati per la scelta del “premier”. Ma, in parte, è stata una vittoria di Pirro per Hamad al Thani perchè alla votazione non hanno partecipato, in segno di protesta, una dozzina di membri del Cn, tra i quali Walid al Bunni, l’artefice della nascita della Cn lo scorso novembre, proprio in Qatar. Più di tutto la nomina di Hitto ha causato le dimissioni del massimo rappresentante della Cn, Moaz al Khatib.

Dimissioni motivate con l’indifferenza del mondo verso la condizione del popolo siriano. In realtà sono state la reazione alla bocciatura voluta dal Qatar della sua linea del negoziato con esponenti “meno coinvolti” del regime di Bashar Assad. Al Khatib, imam fino a poco più di un anno fa della prestigiosa moschea degli Omayyadi di Damasco, è un islamista indipendente e si è espresso (sebbene a mezza bocca) contro le ingerenze straniere e per una soluzione politica. Al contrario Hitto, appena nominato, si è subito detto contro qualsiasi trattativa e convinto che la forza militare presto potrà rovesciare Assad. Anche perchè ora le armi ai ribelli arrivano con regolarità grazie alla piena collaborazione della Cia, come riportato ampiamente dalla stampa araba e occidentale in questi giorni. Da parte sua Al Khatib ha deciso di andare al summit arabo dove pronuncerà un discorso: sarà polemico o conciliante verso il principale sponsor economico e militare della “rivoluzione siriana”? Gli analisti arabi annunciano la “riconciliazione” tra Khatib e al Thani, mentre Damasco denuncia la presenza a Doha di rappresentanti non riconosciuti da popolo siriano.

Sul terreno intanto si continua a morire nei bombardamenti governativi e negli attentati dei ribelli. Questi ultimi peraltro continuano a farsi la guerra tra di loro. Si spiegherebbe in questo senso l’attentato che nei pressi di Deir Ezzor, nel nord-est della Siria, l’altra notte ha ferito gravemente del generale disertore Riad Asaad, uno dei fondatori dell’Esercito libero siriano (Els), la milizia dell’opposizione ormai in posizione subalterna rispetto ai jihadisti “globali” del Fronte al Nusra. Allo stesso tempo in Libano, secondo fronte della guerra civile siriana e del conflitto settario tra sunniti e sciiti, è polemica tra il movimento sciita Hezbollah e il primo ministro dimissionario Najib Mikati. Quest’ultimo, un sunnita di Tripoli avversario fino ad oggi dell’anti-siriano e suo predecesore Saad Hariri, venerdì si è fatto da parte perchè non ha ottenuto la proroga di tre anni del mandato a capo del servizio interno di intelligence per il generale Ahmad Rifi, prossimo alla pensione. I giornali libanesi riferiscono che Hezbollah, che occupa uno spazio di rilievo nel governo, si è improvvisamente trovato sul tavolo la richiesta della ricoferma di Rifi, suo storico avversario, e l’ha respinta nonostante le dimissioni minacciate da Mikati che pure è stato per più di due anni suo stretto alleato.

La “svolta” del premier maturava da tempo, anche a causa delle enormi pressioni dei sunniti che lo accusano di aver fatto il gioco di Hezbollah (e di Assad). In Libano perciò si prevede uno slittamento delle elezioni del 9 giugno (anche per il mancato accordo sulla nuova legge elettorale) e, più di tutto, un pericoloso vuoto di potere in paese che è la periferia della guerra civile siriana.

da Nena News

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