Menu

Moqattam, l’Egitto del tutti contro tutti

Le esplosioni possono essere motivate politicamente o da fattori contingenti ma s’alternano a fasi di calma, egualmente dense di significato per quello che il Paese s’aspetta con le prossime elezioni. A Moqattam, distretto est del Cairo, dove vivono in appartamenti e alloggi dignitosi centomila lavoratori la presenza del quartier generale della Fratellanza Musulmana ha fatto cessare la quiete. Specie dallo scorso novembre, il momento della grande contestazione all’approvazione della nuova Costituzione che ha visto il fronte laico contestare apertamente l’operato e la leadership di Mursi, le gente non vive più tranquilla. Periodicamente si susseguono proteste, talune pacifiche altre violente e violentissime, che costringono chi non si occupa di politica a starsene barricato in casa perché per via, nella migliore delle ipotesi, ci si picchia. Oppure si dà fuoco a quel che capita e si spara. La polizia non è quasi mai presente. 

Il fenomeno è stato evidenziato in molte occasioni e da quando, come nei recenti tumulti di Port Said, fra le vittime si sono contati ‘uomini in nero’ l’assenza di pattugliamento si è acuita. La questione ha valenza di gestione amministrativa e politica dell’intera nazione e mostra una sorta d’incapacità dell’attuale Esecutivo Qandil a raccordare l’esigenza della sicurezza dei cittadini col controllo dell’ordine pubblico durante le proteste, stabilendo un rapporto normale con gli apparati dello Stato. Quest’ultimi appaiono incontrollabili oscillando fra eccessi e abusi o assenza totale. Su tale terreno, come su quello giudiziario, la politica palese e quella celata stanno giocando le proprie carte, come dimostra anche la vicenda del ruolo di Procuratore Generale che vede Abdel-Meguid Mahmoud, pensionato nei mesi scorsi da Mursi, rilanciare pretese sulla carica. Mentre si rafforzano le dicerie sulle pratiche sporche di un buon pezzo dell’Intelligence, che è stata (e resta) vicina a Shafiq, e organizza azioni di teppisti pagati per creare caos e seminare terrore. Può sembrare, ed essere, propaganda dello stesso governo islamico scivolato in pochi mesi in una palese difficoltà di gestione del potere.

Parzialmente lo è, ma nella realtà egiziana dopo due anni di tentativi di cambiamento c’è un po’ di tutto, sicuramente molto passato e incapacità dei partiti di concordare un percorso che affronti perlomeno i problemi quotidiani. Così negli ultimi eventi di Moqattam ci sono le proteste non violente che giovani graffitari portavano sui muri dell’edificio adibito a propria sede dalla Fratellanza, che lì ha praticato abusi edilizi in barba alle leggi chiedendo all’amministrazione locale di chiudere un occhio. C’è la reazione degli attivisti della Confraternita che nei contrasti verbali, e poi alzando le mani, hanno aggredito i loro contestatori fra cui alcune ragazze. Ci sono le ronde per evitare di vedersi imbrattata la sede effettuate su dei pulmini. C’è l’assalto a suon di molotov ai pulmini stessi e le carcasse bruciate ferme in strada da giorni quale inquietante monumento della battaglia. E ancora la paura dei residenti che non vogliono restare bloccati in casa ma uscendo temono di finire vittime involontarie, e la loro raccolta di firme (sic) perché quella sede finisca in un’altra zona della capitale. C’è soprattutto l’Egitto sordo del “tutti contro tutti” che da mesi ha soppiantato il desiderio di ricostruire la nazione. 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *