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Arriva Di Canio, Miliband lascia

*Il manifesto del 2 aprile 2013

«Auguro al Sunderland un futuro pieno di successi. È una grande istituzione che ha fatto tanto per il Nordest britannico e faccio tanti auguri alla squadra per le prossime sette partite decisive per la permanenza in Premier. Tuttavia, alla luce delle dichiarazioni politiche fatte in passato dal nuovo manager, credo sia giusto lasciare». L’ex ministro degli esteri laburista David Miliband non ha avuto dubbi: appena il Sunderland ha deciso di nominare Paolo Di Canio come manager al posto di Martin O’Neill, ha preferito rassegnare le dimissioni da vicepresidente e membro del board of directors.

L’ex idolo della tifoseria laziale non ha mai nascosto le sue simpatie per l’ideologia fascista e per Benito Mussolini, tanto da sfoggiare un tatuaggio con la scritta «Dux». Non proprio un «dettaglio» di poco conto in una roccaforte laburista come il Nordest dell’Inghilterra.

Il Sunderland ha da sempre una tifoseria di forte matrice working class, celebre ai tempi del vecchio stadio Roker Park per il roker roar, il «ruggito» del pubblico. Il team ha mietuto buona parte dei suoi successi in piena epoca vittoriana, quando la nascita del professionismo aprì una nuova opportunità di lavoro per i figli della classe operaia. Fu allora che il Nord dell’Inghilterra dominò su Londra e il suo retaggio amatoriale dettato dallo snobismo delle famiglie dell’alta borghesia e della nobiltà.

Tornando ai nostri giorni, sui social network un po’ di supporter hanno già espresso la loro delusione per l’arrivo di un personaggio controverso come Di Canio. Tristemente celebre per i suoi saluti romani, oltre Manica – dove ha giocato e allenato per anni – ha messo in fila una serie pressoché infinita di gesti eclatanti. Iniziò con la spinta all’arbitro Paul Alcock nel 1998 che gli valse undici turni di squalifica, poi fu la volta del fair play quando decise di non segnare un goal a porta vuota contro l’Everton perché il portiere avversario era a terra infortunato. Di recente si segnalano i litigi con i giocatori e la dirigenza dello Swindon Town, compagine di terza serie lasciata lo scorso febbraio per le difficoltà finanziarie del club, che a suo dire gli impedivano di continuare a lavorare nel migliore dei modi.

In Gran Bretagna, come del resto nelle tante squadre italiane in cui ha militato, lo rammentano pure per le giocate di grande spessore. In particolare, è un’idolo assoluto dei tifosi del West Ham, altra squadra dallo spiccato background working class, che non avrebbero avuto nulla da ridire se fosse divenuto loro tecnico (ipotesi tutt’altro che campata in aria, secondo i tabloid). Per loro Di Canio è quello dei dribbling ubriacanti e dei goal impossibili, come la sforbiciata volante contro il Wimbledon nel 2000. A dirla tutta negli anni londinesi, ma anche nella stagione trascorsa al Celtic (tifoseria molto di sinistra) mr Di Canio la sua fede politica evitava di sbandierarla ai quattro venti, sebbene tutti la conoscessero.

Ben differente l’atteggiamento assunto a fine carriera, al ritorno alla Lazio, la squadra del cuore, che seguiva da ragazzino in Curva Nord e con cui si fece un nome nel grande calcio professionistico. La «vicinanza» agli ultrà biancocelesti, dichiaratamente di estrema destra e il braccio teso «galeotto» nel derby contro la Roma nel 2005 e poi sotto la curva della Juventus – che gli valse una squalifica immediata – riportarono sulle prime pagine dei giornali le simpatie politiche del ragazzo cresciuto nel quartiere popolare del Quarticciolo.

Adesso lo attende un compito difficile, salvare una squadra allo sbando (solo due punti nelle ultime due partite) dalla retrocessione dalla ricca Premier al purgatorio (finanziario) della Championship. Molto probabile che anche in caso di salvezza Miliband non tornerà sui suoi passi. Strano destino quello del fratello dell’attuale segretario laburista Ed, che lo sconfisse a sorpresa nel 2010 nella corsa per la leadership del partito. Da poco ha scelto di rinunciare anche al seggio alla Camera dei Comuni e dire addio alla carriera politica per guidare l’International Rescue Commitee – ong per il sostegno dei rifugiati con sede a New York. Nonostante David abbia sempre smentito, non ne poteva più di vivere all’ombra del giovane Ed, un pizzico più di sinistra di lui e ben voluto dai sindacati.

A proposito dei trascorsi al Sunderland, per la verità la scorsa estate David Miliband aveva definito «una pietra miliare nella storia della Premier League» la firma del contratto di sponsorizzazione con la Invest in Africa. Dietro alla no profit, si cela la discussa multinazionale petrolifera con sede a Londra Tullow Oil, nota per l’estrema opacità – non pubblica nessuno dei contratti con i vari governi africani con cui collabora – ma soprattutto per le critiche ricevute per le operazioni in Ghana, causa di pesantissimi impatti ambientali. A differenza di Miliband, i supporter del Sunderland avevano espresso le loro perplessità sul nuovo sponsor. Ora attendono ulteriori chiarimenti da Di Canio, che ha già fatto sapere di «non essere razzista». Ma di rinnegare l’amore per il fascismo per ora non se ne parla nemmeno.

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