Menu

L’Onu: “la Spagna tortura”. Euskal Memoria: 10.000 casi

Sono sempre più le conferme e le denunce internazionali sull’uso abituale della tortura da parte dei servizi di sicurezza spagnoli, in particolare contro attivisti baschi. L’ultima viene nientemeno che dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, che pochi giorni fa ha ufficializzato il rapporto nel quale conclude che la cittadina basca María Atxabal fu torturata dalla polizia durante il regime di isolamento – incomunicaciòn – che la legge spagnola permette in casi di ‘terrorismo’: cinque giorni durante i quali il detenuto è portato in un luogo segreto, senza poter avere contatti con un avvocato, né con medici di fiducia né tantomeno con i familiari, ed ‘interrogato’.

La ragazza di Bilbao fu arrestata nel giugno del 1996 e venne brutalizzata dagli agenti della Guardia Civil secondo la ricostruzione del Comitato dell’Onu che ha quindi condannato lo Stato Spagnolo – meglio tardi che mai? – ad aprire un’inchiesta “precisa e obiettiva” sui fatti accaduti ed a fornire assistenza medica e psicologica gratuita alla vittima che ancora soffre di gravi disturbi da stress post-traumatico in seguito alle torture subite.
L’unica decisione dell’agenzia dell’Onu che non sa di beffa, a così tanti anni di distanza dai fatti, appare l’ingiunzione ad abolire il regime di ‘incomunicaciòn’ che di fatto lascia mano libera alle forze di sicurezza per poter torturare impunemente i prigionieri, lontani da occhi indiscreti. Il Comitato per i Diritti Umani dell’Onu ha chiesto a Madrid di permettere che chi viene arrestato possa essere assistito in ogni momento da un suo legale di fiducia. Dopo la diffusione della sentenza la vittima, visibilmente emozionata, ha realizzato delle dichiarazioni ai media sottolineando che, seppur con estremo ritardo, “giustizia è stata fatta”. Un segnale per il futuro, se non una riparazione per chi ha subito le violenze in nome di una lotta al terrorismo che a quelle latitudini ha spesso avuto i caratteri di una guerra sporca contro un intero popolo.

Una sentenza che mette in evidenza anche il meccanismo di copertura e omertà che il sistema giudiziario spagnolo mette a disposizione della pratica della tortura nei commissariati e nelle carceri. Ai media la Atxabal e il suo avvocato, Jaime Elias, hanno raccontato anni di denunce inascoltate ai tribunali baschi e spagnoli, sempre rispedite al mittente o archiviate. “La sentenza è doppiamente positiva perché non si limita a riconoscere che nel caso specifico Maria è stata torturata, ma denuncia che il regime di incomunicaciòn può favorire la pratica della tortura e quindi invita a derogarlo il prima possibile” ha spiegato il legale. Anche Jorge Del Cura, esperto del Centro di Documentazione contro la Tortura si è detto soddisfatto della decisione dell’istituzione internazionale che dimostra “che la tortura è una pratica generalizzata nello Stato Spagnolo sul quale le autorità non vogliono indagare. Manca la volontà politica da parte dei giudici istruttori. C’è da sottolineare il ruolo negativo di vari medici legali. Buchi neri che emergono dalle sempre più nette sentenze da parte dei tribunali europei e internazionali a partire dal 2007-08. Inoltre, Amnesty International rivela che la gran parte dei rapporti e delle denunce di tortura non sono state oggetto di indagine da parte delle autorità spagnole».

Nell’ultimo anno, secondo le organizzazioni e i comitati per i diritti umani, i casi di tortura nel Paese Basco sono stati per fortuna meno numerosi che in passato. Ma a leggere gli studi sull’incidenza di questa pratica brutale negli anni emerge un quadro gravissimo, che solo la complicità della cosiddetta comunità internazionale nei confronti della autorità spagnole continua ancora a nascondere. Si calcola infatti che siano stati ben 9600 i cittadini baschi che hanno sofferto sulla propria pelle la tortura negli ultimi 50 anni. A fronte di questa mole di atti di brutalità, sono stati invece solo 19 gli elementi delle forze di sicurezza condannati da un tribunale, e in molti casi a pene irrisorie o poi sospese. Le cifre emergono da uno studio – denominato in euskera “Oso latza izan da” – che è stato recentemente pubblicato e presentato alla Fiera del Libro di Durango. Gli esponenti dell’associazione ‘Euskal Memoria’ – memoria basca – spiegano che non è stato affatto facile raccogliere dati sul fenomeno più oscuro di un conflitto che purtroppo Madrid non sembra avere la volontà di chiudere attraverso i negoziati e una soluzione politica. Sono stati assai pochi gli organismi che durante gli anni hanno raccolto dati, numeri, testimonianze: tra questi Torturaren Aurkako Taldea (TAT, il ‘Gruppo contro la Tortura) è stato sicuramente il più costante con la pubblicazione di rapporti annuali. Scrivono gli estensori del rapporto: “tra il 1960 e il 1977 (anno della fine formale della dittatura franchista, ndr) sono stati almeno 10 mila i cittadini baschi arrestati, e nel 50-70% dei casi sono stati torturati o maltrattati. A partire dal 1978 il computo è facilitato dai dati ufficiali. Nei 10 anni successivi furono arrestati e sottoposti al regime di incomunicaciòn ben 7.370 persone e circa il 40% di queste soffrirono forme di tortura. Tat poi ha cominciato a pubblicare rapporti annuali nel 1989. Euskal Memoria ha quindi potuto verificare che tra il 1989 e il 2000 si denunciano 900 casi, e altri 733 afferiscono al primo decennio del nuovo millennio″. Numeri spaventosi che dicono che la tortura nel Paese Basco è un fenomeno di massa, collettivo, passato di generazione in generazione. “Ho 58 anni, sono madre e nonna (…) Quello che mi hanno fatto non lo auguro al mio peggior nemico” diceva nel 2008 Mertxe Alcocer, una delle mille testimonianze raccolte nello studio della fondazione Euskal Memoria. “Mi dissero “tua figlia va da sola a scuola. Tua moglie va in palestra… ha questa taglia di reggiseno” racconta invece Iñaki Igerategi. “La barra”, “el quirófano”, “el potro”, “el misionero”, “la bañera”, “la bolsa”, “las flexiones”, “el suero de la verdad”… Sono alcuni dei termini con i quali vengono descritte le diverse forme di tortura inflitte ai prigionieri arrestati dalle forze di sicurezza spagnole nei Paesi Baschi. Alcune delle quali poi hanno avuto gli onori della cronaca internazionale, come il waterboarding, quando nell’occhio del ciclone finirono i torturatori della Cia in Afghanistan o in Iraq.

Una pratica, quella della tortura, che se da una parte rappresenta un retaggio dei metodi adottati durante la dittatura franchista dall’altra rappresenta, nel codice penale spagnolo, un elemento per produrre ‘prove’ sulle quali incentrare processi farsa contro attivisti e oppositori politici. E che continua a persistere grazie alla complicità e alla compiacenza di un vasto apparato politico, giudiziario e mediatico. All’interno della quale per anni ha primeggiato un personaggio – l’ex giudice Baltasar Garzòn – che ingiustamente settori progressisti delle opinioni pubbliche internazionali continuano nonostante tutto a considerare un “eroe dei diritti umani”, tanto che la coalizione della sinistra unita spagnola pensa addirittura di candidarlo nelle proprie liste alle prossime elezioni europee. Un’assurdità che ha già provocato una spaccatura interna ad Izquierda Unida e con alcuni movimenti sociali e di lotta che negli ultimi tempi si stavano avvicinando alla coalizione di sinistra. Uno dei migliori ritratti di Garzòn lo fornì, qualche anno fa, un suo collega, il magistrato Joaquín Navarro, intervistato dal quotidiano basco Gara: “Garzòn è un giudice che inventa quasi tutto. Il problema è che è appoggiato dal potere politico e dal Ministero degli Interni. Garzón si permette il lusso di emettere sentenze o di intentare processi completamente ingiustificati, dimostrando legami con l’Eta di chiunque prenda di mira”. Sembrano passati secoli. Improvvisamente Garzòn è stato scaricato da Popolari e Socialisti e allontanato dalla magistratura. Sarebbe davvero assurdo e paradossale che la sinistra resusciti e rivendichi un simile personaggio.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *