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Tahrir, dalla piazza della speranza a quella del golpe

Dall’esperienza dei terribili mesi dello Scaf dovrebbe aver imparato che le “divise cachi” non garantiscono democrazia e progresso bensì controllo. Il proprio. E quale via l’Egitto che ha messo in ginocchio l’Islam politico voglia percorrere per il futuro non è chiaro. Certo né Hamed né il Tamarod Badr potranno ambire a guidarne il percorso che essi stessi lasciano nel vago. Finora esistono due Egitti del passato e del presente, in entrambi gli attori sono stati e si prospettano militari diventati raìs seguiti dalla pletora di amministratori, giudici e cantori di regime, siano essi giornalisti o artisti, molti compiacenti e  diversi collusi. E poi i civili che come i leader del Fronte di Salvezza Nazionale ElBaradei e Moussa hanno accettato lo strapotere della lobby militare. Una casta che dice di difendere il popolo ma vive sulle spalle della nazione conservando per sé, famigli e sodali privilegi e risorse mai redistribuite.

Contro questo tipo di Stato il laicismo liberale non mai alzato la voce, impegnato com’era a ricevere prebende e vantaggi per carriere interne e internazionali come accade in quel “mondo libero” al cui modello costoro s’ispirano. Fedeltà e acquiescenza al sistema che fu di Sadat e poi di Mubarak, portatore al grande alleato statunitense di una posizione privilegiata nell’evoluzione di quel colonialismo un tempo gestito da Sua Maestà Britannica. Da questo tipo di Stato sono stati nutriti i soggetti che nei due anni di commento delle vicende egiziane abbiamo definito “mubarakiani”. I collaboratori del raìs che volevano sostituirlo nel ruolo come il fedele ex ministro Shafiq che perse il ballottaggio della presidenza contro Mursi; i grandi e piccoli commercianti timorosi di cambiare e colpiti, al pari dei tour operator, dall’assenza di turisti prodotta dalle turbolenze socio-politiche; i picchiatori a pagamento come i famigerati baltagheyah della ‘battaglia dei cammelli’ del 2011 e quelli che accoltellarono decine tifosi dell’Al Ahly nello Stadio di Port Said nel 2012. Gente disposta a tutto per una manciata di dollari, che ben conosce il potere di esercito e polizia e sa i benefici che se ne possono trarre vendendosi quale manovalanza del terrore.

Contro quest’Egitto delle caste militari, politiche, religiose (anche la Confraternita, non solo la minoranza copta) s’era ribellata la massa  giovanile dei ragazzi di Tahrir, i figli di ceti medi non certo agiati comunque acculturati, e anche i giovani dei suburbi poveri di Cairo, Alessandria e dell’Egitto profondo, Assiut e Luxor, ragazzi la cui povertà e mancanza di tutori e occasioni condanna a un futuro di miseria. Si sono opposti per mesi alla morte, al carcere, alla tortura, ai suprusi. Privati della vita come Mina Daniel freddato a colpi di pistola da poliziotti infiltrati, oppure dell’integrità fisica, psichica, morale come Samira Ibrahim violata e abusata da un medico dell’esercito nel Museo del Cairo trasformato in luogo d’interrogatori e fermi. Il tutto quando governavano Tantawi e i generali non Mursi e i suoi fratelli. Anche sugli abusi che nelle strade le donne continuano a subire dal peggior maschilismo e di cui Human Rights Watch ha denunciato recenti episodi a piazza Tahrir, in pochi si sono domandati chi ci fosse in quella piazza. Non stiamo addossando agli oppositori della Fratellanza Musulmana la responsabilità di questo crimine, anzi il movimento davvero democratico s’è organizzato con strutture antimolestie già dai tempi della tattica degli stupri “coi cerchi concentrici” nei luoghi delle manifestazioni cosiddette laiche (https://www.contropiano.org/esteri/item/14758-tahrir-lo-stupro-del-branco).

Un fenomeno che si somma ai metodi della sopraffazione e dell’illegalità cui i partiti, laici e islamici, dicono di voler porre limiti solo a parole. Se la coppia della Confraternita Mursi-Qandil non è riuscita a garantire sicurezza peggio che ai tempi di Mubarak una chiamata di correo va proprio agli attuali salvatori in divisa da militare e poliziotto che dovevano tutelare i cittadini e che per mesi sono risultati latitanti non brillando per coscienza, serietà e terzietà. Come tutte le polizie del mondo, si dirà. Ma è anche questo un motivo per riflettere che gli entusiasmi di queste ore possono risultare quantomeno azzardati. Esultare per un golpe non giova certo al popolo che ama la democrazia.

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