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L’Australia svolta a destra, flop del partito di Assange

La vittoria alle elezioni politiche australiane dell’ex opposizione di destra (‘conservatrice’, come amano dire i media mainstream) guidata dal rampante Tony Abbott è stata nettissima, incontestabile. La coalizione formata dai ‘liberali’ di Abbott e dal Partito Nazionale Agrario ha ottenuto addirittura il 53% dei voti. Il che equivale a ben 91 seggi sui 150 totali di cui è composta la Camera.

Altrettanto dura è stata la sconfitta – anche a causa della litigiosità interna – per l’ex maggioranza del Partito Laburista al potere ormai da sei anni, che si è fermato al 46%, solo 54 seggi.

E l’altro risultato del voto è stato il flop totale del partito di Wikileaks: la creatura politica di Julian Assange ha ottenuto appena l’1,19% dei consensi – solo 23 mila voti – assai lontano dalla soglia che gli avrebbe permesso di fare il suo ingresso nel Parlamento di Canberra. Invece è riuscito a riavere il suo seggio il vicepresidente dei Verdi, Adam Bandt.

Mentre alla Camera il sistema elettorale è maggioritario, al Senato la suddivisione dei seggi si basa su un sistema di natura proporzionale, e occorrerà aspettare alcuni giorni per avere i risultati definitivi sul voto di circa 15 milioni di elettori (il voto, nel paese, è obbligatorio dal 1924). Ma comunque è probabile che i ‘conservatori’ possano contare alla Camera Alta su una maggioranza meno amplia, mentre è probabile che anche qui il partito di Wikileaks non la spunti impedendo ad Assange, che si era candidato, di conquistare un seggio ed uscire così dall’esilio coatto nell’ambasciata di Quito a Londra alla quale è costretto dai vari mandati di cattura emessi contro di lui. Ad affondare la creatura politica di Assange gli accordi elettorali di una parte del suo partito con l’estrema destra, invece che con i Verdi e altri gruppi di sinistra e centrosinistra, che avevano causato un piccolo terremoto nella nuova forza (o meglio, debolezza) politica, dopo le dimissioni di alcuni candidati di rilievo. Fra i probabili vincitori di questa tornata elettorale ci sono anche figure quali Clive Palmer, un miliardario del settore minerario noto per le sue posizioni populiste e apparentemente anti-establishment, e Pauline Hanson, l’ex fondatrice del Partito xenofobo One Nation, che potrebbe avere qualche chance di aggiudicarsi un seggio al Senato. 

55 anni, cattolico tanto conservatore da essere stato ribattezzato “mad monk” (monaco pazzo) misogino e tradizionalista, Abbott si gode ora la vittoria, forse meno ampia di quella prevista fino a qualche settimana fa. Ex seminarista ed ex pugile dilettante, maniaco del fitness, durante la campagna elettorale ha promesso di riportare stabilità nel paese, di tagliare le tasse e di imporre una politica più restrittiva e più repressiva nei confronti dell’immigrazione, in particolare contro l’arrivo sulle coste del ‘nuovissimo continente’ dei barconi carichi di migranti provenienti dal sud est asiatico. Un sostegno non secondario all’affermazione della destra è venuto dalla stampa dell’impero di Rupert Murdoch, che controlla ben il 70% dei quotidiani del grande Paese. Ha pesato anche la promessa da parte di Abbott di eliminare la ‘carbon tax’ e la tassa sui grandi profitti dell’industria mineraria, attaccata dalle grande multinazionali. Per convincere l’elettorato femminile, infastidito dalle sue battute sessiste, il politico ha promesso l’introduzione di un’indennità di maternità consistente.

 

L’Australia è diventata negli ultimi mesi il perno fondamentale del nuovo schieramento militare statunitense nel Pacifico, insieme alle Filippine, in quello che si configura come un vero e proprio accerchiamento di basi, flotte e sistemi missilistici nei confronti di Pechino, che da parte sua sta rispondendo con un ampliamento della sua presenza militare nella regione.

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