Menu

Turchia: una settimana di barricate e scontri

Non accenna a placarsi la protesta nelle città turche contro il regime liberal-islamista guidato da Recep Tayyip Erdogan e contro la sua repressione. Le manifestazioni contro l’aggressione alla Siria e la mobilitazione degli studenti di Ankara contro l’autostrada che dovrebbe passare nel campus della Odtu sono state le prime avvisaglie che i moti popolari contro il governo esplosi a fine maggio stavano per tornare a riempire le strade del paese. E così è stato, soprattutto dopo che lunedì notte il giovane Ahmet Atakan è stato ucciso ad Antiochia dalla spoletta di un lacrimogeno che un poliziotto gli ha sparato alla testa da distanza ravvicinata. Ieri mattina, per il quarto giorno consecutivo, Istanbul ed altre città del paese si sono svegliate tra i resti di barricate, cassonetti in fiamme e pavimentazione stradale divelta. Per disperdere le migliaia di manifestanti che protestavano in maniera determinata – fitti i lanci di molotov, oltre che di pietre, bottiglie e petardi – i reparti antisommossa hanno usato quantità industriali di gas lacrimogeni e di proiettili di gomma, oltre ai cannoni ad acqua, e gli arrestati nell’ultima settimana sono stati centinaia, decine i feriti anche gravi.

L’epicentro dei nuovi moti popolari è stato il quartiere di Kadikoy, nella parte asiatica della città, roccaforte delle opposizioni repubblicane e di sinistra. Sulla sponda asiatica del Bosforo sono state parecchie migliaia le persone scese in piazza per tutta la settimana come finora non era mai avvenuto. Ma anche a Gazi, Sarigazi e Nurtepe cortei notturni sono stati attaccati dalla polizia, e così i manifestanti hanno reagito erigendo barricate e lanciando fuochi d’artificio contro i reparti antisommossa. Scontri sono proseguiti fino alle prime ore del mattino non solo a Istanbul, ma anche ad Antakya (Antiochia), Izmir, Ankara, Denizli e Eskisehir.

Intanto i movimenti di protesta, le assemblee territoriali e alcune forze della sinistra radicale, protagonisti della rivolta, hanno lanciato per domenica pomeriggio una grande manifestazione per chiedere giustizia per i sei manifestanti assassinati dalla polizia o da squadre di picchiatori da quando sono iniziate le proteste antigovernative a fine maggio. L’obiettivo dichiarato della mobilitazione, indetta per domani alle 15, è riuscire a raggiungere la ormai blindatissima Piazza Taksim.

Da parte sua Amnesty International ha emesso ieri un comunicato nel quale chiede alla cosiddetta comunità internazionale – assai poco sensibile alle ragioni del popolo turco – di prendere posizione affinché in Turchia venga rispettato il diritto di manifestare pacificamente: “La polizia turca ha ripreso a usare la forza in modo eccessivo nelle manifestazioni – denuncia Amnesty – Pertanto, è necessario che tutti i paesi sospendano i trasferimenti di gas lacrimogeni, di proiettili antisommossa e di veicoli blindati, fino a quando le autorità turche non avranno preso provvedimenti per evitare morti e feriti”. Secondo fonti di stampa, la polizia turca ha fatto un ordine straordinario di equipaggiamento antisommossa, tra cui 100.000 candelotti di gas lacrimogeno e oltre 100 veicoli blindati. I gas lacrimogeni potrebbero essere spediti da Brasile, Corea del Sud, India e Usa, che avevano già rifornito la Turchia in passato; in precedenza, altri paesi avevano fornito o avevano manifestato disponibilità a fornire materiali antisommossa alla Turchia, tra questi, Belgio, Cina, Hong Kong, Israele, Regno Unito e Repubblica Ceca. Altre fonti parlano di quantitativi superiori, affermando che la polizia turca avrebbe già acquistato, nel 2013, 150.000 cartucce di lacrimogeno. Secondo l’Associazione medica turca, nel corso delle manifestazioni iniziate alla fine di maggio sono stati feriti oltre 8000 dimostranti. Alcuni di questi sono da settimane o mesi in stato di coma. Tra le vittime della repressione anche numerosi giornalisti. Solo negli ultimi giorni sarebbero stati 8 i reporter feriti dalla polizia mentre documentavano le manifestazioni e la repressione. Alcuni di loro sono stati pestati dai celerini, altri raggiunti da pallottole di gomma o dalle cartucce dei lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo. Sul suo sito il quotidiano Evrensel ha pubblicato un video che ritrae due suoi giornalisti, Hasan Akbaş e Birkan Bulut, mentre vengono picchiati e minacciati dalla polizia ad Ankara il 10 Settembre scorso. Ecco l’elenco fornito dal portale online dei giornalisti indipendenti BiaNet:
– Ufuk Kosar (freelance); manganellato dai celerini

– Rabia Celik (Vagus Tv); è stata presa a testate da un poliziotto con il casco in testa mentre riprendeva con la sua telecamera. Sul casco il poliziotto non aveva il numero di matricola diversamente da come richiede la legge.
– Umut Kacar (rivista Atlas); ferito alla testa durante le manifestazioni grazie ad una pallottola di plastica
– Ali Acar (quotidiano Cumhuriyet); preso a calci e trascinato per terra
– Kaan Saganak (quotidiano Cumhuriyet); ferito con una pallottola di plastica sparata da 2 soli metri di distanza
– Ugur Can (Agenzia Stampa Dogan); malmenato dalla polizia
– Bulent Doruk (Agenzia Stampa Anadolu): ferito alla mano
– Mete Ud (quotidiano Evrensel); ferito agli occhi da un idrante

– Berna Sahin (quotidiano BirGun); colpita da un lacrimogeno 

Sempre a proposito delle violenze e degli abusi della polizia, i responsabili del Centro Culturale Nazim Hikmet di Kadikoy, punto di riferimento di numerosi partiti di sinistra della zona, hanno denunciato di aver sorpreso alcuni agenti che, dopo aver fatto irruzione nella sede, cercavano di piazzare delle prove false al suo interno. Secondo il Partito Comunista di Turchia (TKP) durante gli scontri dell’11 settembre sono stati arrestati 13 membri del Partito. 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *