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Tunisia: passo indietro degli islamisti

Dopo mesi di braccio di ferro e manifestazioni contro il governo organizzate dai sindacati e dai partiti di sinistra, in particolare dopo l’assassinio di due dirigenti del Fronte Popolare – Chokri Belaid a febbraio e Mohamed Brahimi in estate – il partito islamista Ennahda che guida l’esecutivo formato anche da due partiti liberali centristi ha deciso di fare un passo indietro.

Finalmente ieri, dopo mesi di mura contro muro, i vertici di Ennahda hanno annunciato che il governo di dimetterà al termine dei negoziati con l’opposizione, per dar vita a un esecutivo di salvezza nazionale che traghetti il paese verso nuove elezioni dopo l’approvazione di una nuova legge elettorale più democratica e lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale Costituente dalla quale si sono ritirati decine di parlamentari laici e di sinistra.

Era questa la richiesta principale che ha animato mesi di scioperi e manifestazioni, molte delle quali represse con forza dal governo che però ha dovuto fare i conti con una crescente insoddisfazione popolare e con crescenti divisioni all’interno della compagine governativa. In particolare è stato l’asse tra il sindacato Ugtt, l’Unione generale tunisina dei lavoratori, e il Fronte Popolare – federazione di gruppi di sinistra radicale e moderata – a mettere a dura prova la tenuta del nuovo blocco di potere coagulatosi, dopo la defenestrazione del dittatore Ben Alì nel 2011, attorno alla componente locale della Fratellanza Musulmana. Che indubbiamente ha accusato anche il colpo dell’esautoramento dei cugini egiziani da parte dell’esercito pochi mesi fa.

L’ultima grande manifestazione antigovernativa aveva riempito giovedì scorso il centro di Tunisi con centinaia di migliaia di persone, che hanno di nuovo chiesto la fine della cappa che gli islamisti hanno imposto al paese, una svolta nella politica economica liberista di Ennahda che strozza i tunisini e la punizione dei responsabili degli omicidi politici di cui l’opposizione incolpa gli islamisti al potere e il loro braccio armato, la ‘Lega per la difesa della Rivoluzione’, organizzazione quadristica infiltrata dai salafiti.

Attaccato da sinistra per aver tollerato, coperto e aiutato gli estremisti islamici dediti a continue scorribande contro le opposizioni, ad aggressioni e a un’opera di islamizzazione violenta di un paese relativamente laico, Ennahda negli ultimi mesi ha dovuto fronteggiare, anche militarmente, un’offensiva armata scatenata da gruppi jihadisti che hanno approfittato della debolezza della fratellanza musulmana per accrescere i propri consensi.

 

Ora la road map concordata dai vari partiti, dall’Ugtt, da alcuni ordini professionali e dalla federazione degli imprenditori prevede la formazione di un governo tecnico a tempo che gestisca l’ordinaria amministrazione, riscriva la legge elettorale e convochi nuove elezioni. Ma gli islamisti, già in crisi, sono assai restii ad andare ad elezioni in tempi brevi, timorosi di perdere molti dei consensi conquistati dopo la caduta di Ben Alì, quando si presentarono con un volto ‘moderato’ presto dismesso dopo la vittoria. Soprattutto le difficoltà economiche, la disoccupazione e la crisi sociale che investono il paese potrebbero spostare molti voti verso i partiti laici e di sinistra, oppure su posizioni ancora più fondamentaliste dal punto di vista religioso. Facendo durare il più possibile un governo di ‘tecnici’ Ennahda potrebbe recuperare qualche consenso dimostrando che neanche gli altri sono in grado di risolvere i problemi del paese.

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