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Il senato resta. Gli irlandesi non ci cascano

A sorpresa, la maggioranza dell’elettorato irlandese ha respinto nel referendum di venerdì l’abolizione del Senato, anche se con un margine ristretto dei voti: il 51,8% contro il 48,2%, dicono i dati ufficiali e definitivi resi noti ieri pomeriggio. Il si all’abolizione della Camera alta ha vinto in dodici circoscrizioni di Dublino, ma nel resto del paese è stato rigettato nettamente.
I sondaggi della vigilia – e ora il sospetto è che fossero manipolati per orientare il voto, più che per rappresentare le intenzioni dei circa tre milioni di elettori irlandesi – davano per certa la cancellazione del secondo ramo del parlamento di Dublino. Creato nel 1937, il ‘Seanad’ è composto da soli 60 membri eletti non dai cittadini ma dai senatori uscenti, dai deputati e da rappresentanti locali, oltre che da alcuni delegati nominati dal premier e dalle università
. Un organo che va democratizzato, evidentemente, ma non certo abolito.

Prima del voto la maggior parte dei senatori – 33 – avevano sostenuto la necessità di abolire quello che è stato definito un “inutile e costoso” organo istituzionale, che fa spendere ai contribuenti del paese ‘ben’ 20 milioni di euro ogni anno.

Ma la maggioranza degli elettori che si sono recati alle urne – quasi il 40% solo del totale degli aventi diritto – non sono caduti nel tranello, ed hanno deciso di punire il governo di coalizione formato dai democristiani del Fine Gael e dai laburisti (centrosinistra). Evidentemente non convinti della necessità di sforbiciare ancora spazi di partecipazione e rappresentanza, per quanto obsoleti e imperfetti, e neanche impressionati da quei venti milioni di euro che, a ben guardare, non sono poi una cifra così spropositata risparmiando la quale le sorti del paese cambierebbero in meglio. L’unico partito tra quelli presenti in parlamento a schierarsi contro l’abolizione del Senato è stato il Fianna Fail, la principale formazione di opposizione e di centrodestra, che pure insiste sulla necessità di una profonda riforma. Il Sinn Fein, il partito repubblicano di sinistra, questa volta ha preso un abbaglio ed ha invitato i suoi simpatizzanti a votare per l’abolizione.

Il Senato, anche se ha poteri inferiori a quelli della Camera bassa, mantiene comunque importanti compiti di vigilanza e controllo, e può ritardare di tre mesi il varo delle misure varate dall’altro ramo del parlamento affinché vengano eventualmente modificate dai deputati.

Certamente la bassa affluenza ha inciso sul risultato del referendum di venerdì, ma anche la volontà da parte di alcuni settori sociali più coscienti che hanno in questo modo anche voluto mandare un segnale chiaro contro un governo che nonostante le condizioni disastrate del paese continua ad applicare pesanti misure di austerity dettate dalla troika.

 

Se la ‘casta’ propone di abolire il Senato, avranno pensato in molti, c’è qualcosa che non va, e quindi è meglio fare esattamente il contrario di quanto propone l’establishment. Nei mesi scorsi un ex dirigente del partito laburista britannico, Lord Hattersley, aveva proposto di copiare i vicini irlandesi ed abolire anche la Camera dei Lord di Londra, in nome di una riduzione dei costi della politica che in realtà aumenta il carattere elitario degli organi elettivi e rende sempre più difficile mandare in parlamento deputati indipendenti e legati a settori sociali non abbienti o critici con le politiche dei governi. Ora, dopo la sconfitta di Dublino, probabilmente la proposta di Lord Hattersley finirà in un cassetto.

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