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Londra: viaggio nel futuro del welfare privatizzato o della sussidiarietà à la bolognese

Il pubblico-privato non è una novità per noi. Dobbiamo riaggiornare le forme e non continuare un dibattito astruso sulla sussidiarietà. Che non sono appalti. Gli appalti si fanno e vince la gara il migliore e noi facciamo gare nell’interesse della nostra comunità e sull’esigenza che la nostra comunità riteniamo abbia bisogno.

                              Virginio Merola al Secondo Forum Metropolitano (09 febbraio 2013)

Sono a Londra da poco e mai avrei pensato che, venendo dalla lotta bolognese per l’abitare – contro il business dell’assistenzialismo e la privatizzazione del welfare – mi potessi ritrovare improvvisamente nel … futuro. Quel futuro invocato dalle parole di Merola, che ci rassicurò che “sussidiarietà” non significava appalti…

Purtroppo, le vicende londinesi di cui sono stata testimone mi hanno mostrato in pratica come si potrebbe sviluppare l’affare del welfare nel futuro. Ed è forse meglio prepararsi a resistere.

Ma cominciamo dall’inizio.

Due mesi fa 29 giovani donne ospitate nel dormitorio Focus E 15 del quartiere Newham di Londra ricevono una lettera di sfratto. Viene loro spiegato che la struttura non le può più accogliere. Devono, dunque, rivolgersi al mercato privato oppure accettare una soluzione alternativa…in un’altra città. Manchester, Birmingham, Hastings (tutte località a circa due ore di distanza da Londra). Il dettaglio raccapricciante è che le donne sono tutte giovani ragazze madri (sotto i 25 anni), quasi tutte incinte e molte con più di un figlio. Nate e cresciute a Newham, per tutte, la vicinanza di famigliari, amici e/o fidanzati è fondamentale. Molte studiano e/o lavorano. Il dormitorio le avrebbe ospitate per il periodo di massima vulnerabilità, durante la gravidanza. Ma da un giorno all’altro, le donne smettono di essere considerate “vulnerabili”.

La loro lotta le vede esplorare i subdoli meandri del welfare privatizzato.

Infatti, il dormitorio viene gestito da una così detta housing association (ente privato no-profit che “fornisce” case popolari). Per intenderci, un incrocio letale tra un fondo immobiliare e una cooperativa all’italiana. Vale a dire, la East Thames Housing Association, in questo caso, – dopo aver vinto la tristemente nota gara al ribasso – incassa soldi dallo stato sia per gli alloggi forniti, che per la gestione della struttura.  E quando il Quartiere decide di tagliare la spesa per il welfare, è a discrezione dell’ente privato scegliere quale dei servizi sopprimere o dirottare verso altre città. Giova menzionare che per “case popolari”, in questo caso, si intende alloggi privati sovvenzionati dallo stato grazie ai così detti sussidi abitativi (housing benefit), con valori che superano di gran lunga gli affitti del mercato.

E così, costrette allo sradicamento, le giovani ragazze madri si autorganizzano e danno inizio alla lotta contro lo sfratto. Che diventa presto una lotta per un’abitazione dignitosa e stabile, e il sostegno nel loro percorso verso l’autonomia. Sono loro a scegliere lo slogan della campagna anti-sfratto: “No alla pulizia sociale!”. La loro immagine coi pugni alzati e i pancioni fa il giro dei media e diventano presto un simbolo della resistenza alla grande opera di pulizia sociale che sta avvenendo a Londra.

Tutto questo accade in una città dove la costruzione delle case popolari è rallentata e principalmente affidata a progetti di social housing sviluppati dai privati. Mentre innumerevoli edifici costruiti per le Olimpiadi – costate circa 9 miliardi di sterline – aspettano vuoti che il mercato immobiliare rimpenni e che la speculazione ricompensi  la pazienza dei palazzinari.

Ma come siamo arrivati a questo punto?!

Con il pretesto della crisi, il governo britannico della coalition (tanto trasversale quanto il nostro) ha preso la palla al balzo per raffinare lo smantellamento del welfare state, inaugurato dalla Thatcher.

Non è un caso che lo strumento di attacco principale, adoperato per espropriare  gli ultimi stracci di diritti è, ancora una volta, come spesso accade, il diritto all’abitare. E che Londra, con il suo immenso patrimonio immobiliare, sia diventata, suo malgrado, il laboratorio di una grande pulizia sociale, a favore della speculazione dei grandi proprietari immobiliari, che, attraverso le misure governamentali, stanno operando una gentrificazione di massa della città.

Il governo della coalition ha, infatti, meticolosamente diretto i tagli verso le fasce più deboli, con il chiaro intento di marginalizzare e letteralmente sfrattarle dalla città, con un ricatto basato sulle nuove tasse e i nuovi tetti degli aiuti sociali.

Le due misure più scandalose ultimamente introdotte riguardano entrambe, guarda caso, le case popolari.

Al salasso della versione londinese della TARSU (la Council Tax, che viaggia tra le  600 e le 1800 sterline all’anno), che già pesa sui bilanci familiari, si aggiungono la benefit cap e la bedroom tax, con il chiaro intento di espropriare abitanti di case popolari o convenzionate.

La così detta benefit cap pone un tetto ai sussidi che una famiglia – per quanto numerosa, a prescindere dal grado di disagio – possa ricevere, e il tetto è di 500 sterline a settimana, cumulando tutti i sussidi. Per un italiano queste cifre possono apparire astronomiche, ma a Londra come a Bologna, tre quarti verrebbero destinati all’affitto. Lo stato fornisce, cioè, sussidi per pagare l’affitto di case popolari private, per poi, progressivamente,  restringerlo.

Infatti, la somma potrebbe venir ulteriormente decurtata grazie alla bedroom tax, che depenna fino a 25% dei sussidi nel caso gli inquilini possiedano uno spazio inutilizzato, chiamato arbitrariamente “stanza da letto”. A parte i pensionati (forse per ragioni elettorali?), qualunque nucleo famigliare fino a 4 persone (con figli sotto i 16 anni), ha diritto a due stanze da letto. Se figli o coniugi cambiano casa o decedono, questo porta automaticamente alla diminuzione del sussidio abitativo, all’accumulazione del debito e allo sfratto per morosità o all’offerta di lasciare la città.

Queste misure sono già in vigore dall’aprile del 2013. Entro qualche anno impatteranno più di un milione di persone, che saranno obbligate a rivolgersi al mercato privato degli affitti oppure ad accettare le sistemazioni proposte da Comuni e Quartieri. Case meno costose in zone verdi oltre la periferia della città o in altre città. La prospettiva per coloro che non accetteranno questo sradicamento forzato è la strada. Il che, ironia della sorte, li getterà immancabilmente nelle braccia di una qualche struttura sociale privata sovvenzionata dallo stato.

Ma la lotta delle giovani madri di Newham e di tutti quei quartieri in odore di gentrificazione, dimostra che si può e si deve resistere anche di fronte alla potenza di un sistema ormai privatizzato e così profondamente ingiusto, come quello del welfare londinese, che trasforma il disagio in doppio profitto per gli speculatori immobiliari.

Ps. Fino al settembre dell’anno scorso, occupare spazi sfitti era permesso dalla legge britannica. James Cameron si è preoccupato di rimediare il “vuoto” legislativo. Occupare uno spazio residenziale è, quindi,  diventato un reato penale, punibile con la detenzione per 6 mesi e una multa da 5000 sterline.

* Da Londra

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