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Il Brasile svende il suo petrolio, proteste e scontri

Brutto episodio ieri in Brasile, paese scosso ormai da mesi da continue mobilitazioni e proteste contro il governo e le sue politiche economiche. Sono sempre di più i brasiliani scontenti dell’operato della presidente Dilma Rousseff e del suo PT, dopo anni di riforme (e promesse) mancate e di fronte ad un tasso di corruzione e di collateralismo con le lobby economiche private che appare sempre più sfacciato.

Ed è proprio contro l’arrendevolezza dell’esecutivo nei confronti delle multinazionali, questa volta straniere, che ieri a Rio de Janeiro sono scese in piazza alcune centinaia di persone. Obiettivo della protesta era l’asta pubblica sui diritti di sfruttamento di un enorme giacimento di petrolio, quello di Campo Libra. Solo tre anni fa, durante la campagna elettorale che portò alla sua trionfale elezione alla presidenza, la petista ed ex guerrigliera Dilma promise che mai e poi mai avrebbe permesso la privatizzazione del petrolio brasiliano. Tre anni dopo invece il suo esecutivo sta consegnando nelle mani delle lobby petrolifere di vari paesi stranieri la gestione di uno dei giacimenti più consistenti del pianeta: le stime parlano di riserve tra gli 8 e i 12 miliardi di barili di greggio distribuite in un’area di ben 1500 chilometri quadrati. Un giacimento così grande che, per avere un’idea, sorge nel sottosuolo di una zona dalle dimensioni doppie rispetto a quella che ospita i giacimenti della Norvegia.

Ieri alcune centinaia di manifestanti, per lo più operai e sindacalisti dell’industria petrolifera nazionale Petrobras ma anche attivisti di organizzazioni ecologiste e di collettivi studenteschi (alcuni erano incappucciati), si sono radunati di fronte al lussuoso Hotel di Rio dove di li a poco sarebbe andata in scena l’asta per l’assegnazione delle licenze di sfruttamento di Campo Libra. La polizia militare in assetto antisommossa aveva ricevuto ordine di impedire ogni possibile azione di disturbo e così una prima violenta carica ha preso di mira i manifestanti a qualche centinaia di metri dall’albergo ben tre ore prima dell’inizio della procedura. Contro i manifestanti gli agenti hanno sparato non solo i lacrimogeni ma hanno usato anche gli spray urticanti e le pallottole di gomma.
Ma i dimostranti sono tornati a protestare e si sono radunati a pochi metri dalla polizia, erigendo improvvisate barricate utilizzando anche alcune automobili, e contro la polizia militare hanno lanciato anche noci di cocco reperite in spiaggia. Gli scontri e le proteste sono continuate ma nulla hanno potuto di fronte allo schieramento intorno all’albergo non solo della polizia militare, ma anche di ben 1000 soldati dell’esercito schierati a difesa dell’asta, alla quale hanno partecipato 11 consorzi petroliferi privati di vari paesi. La multinazionale vincitrice dovrà pagare, per i diritti di estrazione, un canone di 5 miliardi di euro al governo brasiliano, ma dovrà poi destinare a Brasilia solo il 40% del greggio estratto. Il minimo previsto dalle condizioni preliminari all’asta, anche considerando il fatto che l’azienda statale brasiliana fornirà ben il 40% del capitale necessario all’impresa, che prevede la realizzazione di 18 piattaforme di grandi dimensioni e il coinvolgimento di 90 navi di appoggio e trasporto.

Alla fine ad aggiudicarsi l’asta è stato un mega consorzio formato da tutte le principali multinazionali mondiali del settore, compresa la Petrobras. Gli altri soci sono l’anglo-olandese Shell, la francese Total, le cinesi CNPC e CNOOC. A poche ore dall’inizio della gara, invece, la spagnola Repsol ha annunciato il suo ritiro, dopo che lo stesso avevano fatto la scorsa settimana la statunitense Exxon e le britanniche BP e BG. 

Di fronte alle critiche dei partiti di sinistra e dei lavoratori sulla svendita del petrolio brasiliano a giganti stranieri, l’esecutivo del PT si difende affermando che il paese non possiede le tecnologie e le infrastrutture necessarie per sfruttare adeguatamente l’enorme giacimento nascosto sotto uno spessissimo strato di sale. E la Rousseff promette che ben il 75% delle royalties del petrolio verranno investiti per migliorare il sistema d’istruzione del paese e il resto per sostenere un sistema sanitario indegno di una potenza regionale emergente.
Ma gli operai della Petrobras, in sciopero da 13 giorni, chiedono ora aumenti salariali e un netto miglioramento delle condizioni di lavoro e di sicurezza negli impianti. E le associazioni ecologiste denunciano il pericolo che lo sfruttamento indiscriminato dei giacimenti di petrolio e gas metta a rischio l’intero ecosistema nelle regioni di Rio e San Paolo, enormi metropoli che già da sole hanno un impatto assolutamente negativo sull’ambiente e sulle condizioni di vita nella regione costiera del Brasile.

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