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Giappone: Abe mostra i muscoli e minaccia la Cina

Si alza la tensione in Estremo Oriente. Il Giappone del premier nazionalista Abe rispolvera contro il vicino cinese un linguaggio aggressivo e ultimativo, pretendendo uno “spazio vitale” che riconosca al Sol Levante il suo potere economico ma anche militare. I motivi di attrito tra i due paesi non sono mai mancati, così come gli scontri militari sanguinosi e duraturi. E recentemente la polemica si è innestata sull’arcipelago conteso delle Senkaku (per Tokio, Diaoyu per Pechino) che ha riportato i toni del confronto a livelli parossistici e soprattutto ha evidenziato uno schieramento anche militare dei due contendenti oltre che diplomatico e politico. 

Alle recenti elezioni Abe ha ottenuto un larghissimo consenso grazie ad una propaganda esplicitamente militarista e nazionalista, premiata da un’opinione pubblica sempre più sensibile al richiamo agli antichi fasti di un Giappone che, grazie alla strategia USA di accerchiamento anche militare della Cina, mostra i muscoli.

Come al solito a raccontare quanto avviene in Estremo Oriente senza particolari eufemismi è il Sole 24 Ore, in un pezzo di Stefano Carrer. Come scrive lo stesso giornalista del quotidiano di Confindustria la tensione nell’area sta diventando così alta che ‘gli investitori cominciano a preoccuparsi”. Di seguito alcuni stralci dell’articolo in questione:

Il primo ministro giapponese ha scelto la base militare di Asaka – vicino a Tokyo – per lanciare un monito alla Cina nel discorso alla parata annuale delle Forze di Autodifesa. Davanti a quasi 4mila soldati e vedendosi sfilare davanti 240 veicoli e sopra 40 velivoli di ogni tipo, Abe ha dichiarato che non può essere tollerato l’uso della forza per cambiare lo status quo regionale, con palese riferimento alla percepita aggressività della Cina nel rivendicate le isole Senkaku (controllate da Tokyo). Hanno sfilato tutti i mezzi in grado di riconquistare eventuali isole perdute: veicoli anfibi, mezzi da sbarco, elicotteri d’assalto, ricognitori, caccia e persino canotti.

Un messaggio chiaro: il Giappone reagirebbe non solo fidando nell’appoggio e nell’ombrello nucleare americano, ma confidando sulla propria forza. Del resto, per la prima volta da quanto fu stipulato il trattato di Difesa tra Stati Uniti e Giappone, le due parti hanno approntato nei minimi dettagli un piano militare congiunto per contrastare un eventuale attacco su una specifico territorio: le Senkaku, appunto, nel Mar cinese orientale. Il capo degli stati maggiori riuniti delle Forze di Autodifesa, Shigeru Iwasaki, lo ha discusso fin dal marzo scorso – e finalizzato in estate – con il capo dello Us Pacific Command, Ammiraglio Samuel Locklear: strategia, tattiche, logistica, via via fino a particolari minuti come le modalità di trasporto dei feriti verso specifici ospedali. Lo scoop, probabilmente pilotato, del quotidiano Nikkei è arrivato l’altro ieri in in contemporanea con un intervista al Wall Street Journal in cui per la prima volta un premier giapponese dichiara che il suo Paese è chiamato ad assumere un ruolo di leadership in Asia non solo sul fronte economico, ma anche sulle questioni riguardanti la sicurezza internazionale. Sono due sviluppi, destinati a far infuriare Pechino, che si coniugano con alcuni controversi piani del governo Abe che la Dieta sarà chiamata ad approvare: l’espansione del perimetro di potenziale operatività delle Forze di Autodifesa (per consentire la cosiddetta “difesa collettiva” in aiuto a forze armate amiche); la creazione di un Consiglio per la Sicurezza Nazionale sul modello americano; nuove linee guida per il Programma di Difesa entro quest’anno in anticipazione della revisione delle linee-guida della Us-Japan Defense Cooperation entro fine 2014; infine, una rigida tutela dei “segreti di stato” attraverso norme penali draconiane applicabili con un margine di discrezionalità talmente ampio che induce molti a temere per la libertà di espressione e a paventare un forte controllo statale sull’informazione (il relativo disegno di legge è stato approvato venerdì dall’esecutivo e presentato al Parlamento).

Si tratta di uno scenario che potrà allarmare anche la Corea del Sud, con la quale i rapporti sono piuttosto tesi per molte ragioni, da ultimo persino per uno spot di 87 secondi messo su Youtube dal Ministero degli esteri giapponese per spiegare le ragioni per cui rivendica la sovranità sull’isoletta di Takeshima (Dokdo per i coreani) controllata da Seul.

Un crescendo di segnali – compresa l’indiscrezione secondo cui il premier potrebbe visitare il tempio nazionalista Yasukuni – che comincia a preoccupare anche gli investitori internazionali: il timore è che Abe perda il “focus” sull’economia proprio nella fase più importante – quella delle riforme di sistema promesse come terzo pilastro dell’Abenomics dopo la politica monetaria ultra espansiva e gli stimoli fiscali – per passare ad attuare una agenda “politica” in grado di avere conseguenze negative sull’economia anche per la strada di un aggravamento delle tensioni con i vicini. 
(…) Per la prima volta un leader giapponese lancia in sostanza il messaggio secondo cui il Paese è pronto a contrastare l’ascesa cinese e non resterà inerte di fronte ai tentativi di alterare l’equilibrio dei poteri in Asia. Come il Nikkei precisa che i piani militari di emergenza con gli Usa intendono indurre la Cina ad astenersi da ulteriori provocazioni e evitare uno scontro armato Pechino-Tokyo, così Abe dice che altri Paesi asiatici ritengono che una postura più decisa del suo Paese possa indurre la Cina a maggiore ragionevolezza. Ma non è affatto detto che si determini questo effetto desiderato. Ad ogni modo, il premier assicura di non voler dimenticare l’economia e domani sarà il Turchia per rafforzare i legami commerciali anche attraverso l’export di tecnologia nucleare civile.

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