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Argentina: informazione, vittoria del governo sulle lobby

E’ stata una battaglia lunghissima, complicata, piena di alti e bassi. Ma alla fine il governo l’ha spuntata sulle grandi lobby dell’informazione argentine e internazionali.

Ieri infatti dopo un lunghissimo braccio di ferro, costellato di colpi di scena, la Corte Suprema di Buenos Aires ha finalmente dichiarato costituzionale la Legge n° 26.522 del Servizio di comunicazione audiovisiva, generalmente conosciuta come ‘Ley de medios’. Una legge fortemente voluta dai settori progressisti della società e diretta a “promuovere, decentrare e dare impulso alla concorrenza, democratizzando e universalizzando l’accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione per favorire la diversità e la partecipazione e fomentare la produzione nazionale”. Dopo una vasta mobilitazione da parte dei media comunitari, di associazioni e realtà di base di tutto il paese, la legge era stata approvata nel 2009 dalla maggioranza parlamentare ma poi la sua entrata in vigore era stata ritardata e poi bloccata da vari ricorsi, per lo più presentati dal gruppo mediatico Clarín, il più importante dell’Argentina e fra i primi in America Latina. Una vera e propria multinazionale che controlla da sempre l’informazione nel paese, oltre ad altri settori vitali dell’economia, e che più volta è stata accusata di aver sostenuto le dittature militari di estrema destra dalle quali ha ottenuto favori e facilitazioni interrotti a partire dall’elezione di Nestor Kichner. 

Con il suo verdetto, la più alta istanza giudiziaria argentina ha revocato una precedente sentenza della Camera federale civile e commerciale che aveva decretato l’incostituzionalità di due articoli che regolano il trasferimento delle licenze e i termini di applicazione della legge. Il gruppo Clarín aveva subito impugnato quattro articoli, bloccando l’applicazione della legge: il giudice di prima istanza li aveva riconosciuti validi, ma la Camera federale civile e commerciale ne aveva salvati solo due dichiarando incostituzionali gli altri due: L’articolo 45 che impedisce ad un operatore di accumulare licenze tv, radio e via cavo, proibendo fra l’altro che un’emittente tv via cavo copra più del 35% del territorio nazionale e che un operatore di tv via cavo nella stessa area possieda anche un canale in chiaro; l’articolo 161 che obbliga Clarín a disfarsi delle licenze in eccesso.
L’oggetto del contendere era in particolare l’obbligo imposto dalla “ley de medios” nei confronti dei grandi gruppi dell’informazione e della comunicazione di cedere alcune delle licenze in loro possesso, in nome di una riduzione drastica della concentrazione dei media privati nelle mani di pochi e potenti soggetti. Una misura che il gruppo Clarìn e altri hanno sempre rifiutato e avversato, lanciando dal 2009 in poi una pesante e violenta campagna mediatica, politica e anche giudiziaria contro il governo e soprattutto contro la presidente Cristina Fernandez de Kirchner. Che ora, dopo il risultato non proprio esaltante delle ultime elezioni politiche – che comunque hanno confermato il suo partito e le forze ad esso alleate come prima formazione politica del paese – può prendersi una rivincita non indifferente nei confronti delle oligarchie che manovrano anche l’opposizione parlamentare di destra. Che non a caso ha difeso strenuamente la vecchia legge sull’informazione e sul sistema delle comunicazioni, varata durante gli anni della dittatura militare (1976-1983) e cucita apposta per tutelare gli interessi economici e l’egemonia politica del gruppo Clarìn e delle sue ramificazioni partitiche.
La nuova norma stabilisce invece un forte freno alla concentrazione editoriale, favorendo la produzione audiovisiva nazionale, promuovendo la partecipazione di organizzazioni senza fini di lucro e prevedendo che lo spazio mediatico sia diviso in tre parti equamente distribuite tra soggetti privati, pubblici e della società civile. E stabilendo anche che nessun soggetto possa possedere più di dieci licenze tra giornali, radio e tv, ognuna delle quali avrà una durata massima di 10 anni.
Ora, con l’entrata in vigore della legge, si calcola che una ventina di imprese saranno costrette a restituire allo Stato circa 330 tra licenze radio e tv. Insieme a Clarìn la statunitense Direct Tv, il gruppo spagnolo Prisa (gli editori di El Paìs), la multinazionale di Madrid Telefonica ed altre aziende locali. Ma il processo non sarà rapidissimo: le varie imprese editoriali avranno un anno di tempo per dismettere le licenze in eccesso e comunque i responsabili di Clarìn e di altri grandi gruppi hanno già annunciato che ricorreranno ai tribunali internazionali contro la sentenza, da loro accusata di violare la libertà d’espressione e il diritto alla proprietà.  

Ma i pericoli sono anche altri. Ad esempio che la nuova legge venga utilizzata non tanto per democratizzare il sistema dell’informazione quanto per favorire alcuni gruppi industriali concorrenti rispetto al Clarìn ma non per questo migliori.

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