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Iran. Su nucleare ed embargo un accordo possibile

Nucleare-embargo iraniani, un accordo possibile

Storce la bocca e minaccia col vocione il solo Netanyahu. A lui i preliminari ginevrini, che aprono trattative pur parziali sul dilemma nucleare ed embargo iraniani, non piacciono. Parla di un pessimo patto perché è da sempre fautore del “tutto o niente”. E, come per la questione palestinese, sapendo che la prima ipotesi è ancora impossibile praticarla in toto, sceglie l’opzione del nulla. Ma gli attori del 5+1, lo ascoltano a mala pena. Anche il segretario di Stato Kerry, sempre diplomatico, dopo gli scivoloni para-interventisti sulla punizione ad Asad è cauto prima di volare a Ginevra. Non commenta l’insinuazione israeliana sull’uso della forza contro Teheran. Il francese Fabius, il britannico Hague, il tedesco Westerwelle, il cinese Wang Yi aprono a un accordo basato su piccoli passi verso l’iraniano Zarif, probabilmente lo farà anche il russo Lavrov di cui è tuttora incerta la partecipazione all’assise. Le aperture del neopresidente Rohani hanno smosso le acque e le direttrici di Obama ai grandi d’Europea, rappresentati dalla baronessa Ashton, è quella di rilanciare il dialogo. I malumori di Tel Aviv sono per ora blanditi con l’assicurazione che l’arma atomica non verrà concessa agli ayatollah, sebbene gli ispettori Aiea non potevano né possono giurare su un controllo assoluto della questione.

Probabilmente i piccoli passi previsti per il futuro, che pure devono tenere conto dei considerevoli progressi operati – pur sotto embargo – dalla Repubblica Islamica (dal 2007 a oggi le centrifughe per l’energia sono passate da 1.300 a 10.000, e ce ne sono altre 8000 istallate ma non operative), presupporranno una verifica continua. Tutto ciò in virtù di rapporti più distesi con cui le delegazioni occidentali saranno viste dall’opinione pubblica non come le spie del passato, idea tuttora rilanciata dai pasdaran in occasione delle celebrazioni antimericane del 4 novembre. Il do ut des in atto riguarda una limitazione semestrale al nucleare col fermo del reattore di Arak, delle 18.000 centrifughe in grado di operare (8.000 non sono attive, ma di queste un migliaio sono di nuova generazione e la loro azione si moltiplica per 10) e della creazione di nuove scorte d’uranio arricchito al 20%. Di contro da ovest si scongelerebbero almeno 50 miliardi di dollari, proventi del commercio di petrolio iraniano bloccati dalle banche mondiali per il volere di Washington. E’ un possibilismo di piccolo cabotaggio rispetto alle potenzialità delle riserve energetiche iraniane, ma la mossa sblocca una situazione diventata roventissima nell’ultimo lustro.

Sul tema la coda dell’amministrazione Bush e Ahmadinejad si giocavano la rispettiva politica interna, poi l’attendismo obamiano ha tenuta aperta ogni possibilità, anche quella d’un intervento punitivo tanto sognato da Netanyahu. Invece l’arrivo a Teheran d’un presidente dialogante sta rendendo più ragionevoli gli stessi grandi dell’Occidente quasi dimentichi che il vantaggio economico di certi commerci energetici e di progetti distributivi (il Nabucco) sono un bene reciproco. Petrolio e metano iraniani non devono né possono viaggiare solo a est, anche perché Cina e India sono battitori liberi sul mercato e variano fonti d’approvvigionamenti. I tre grandi d’Europa, con l’intero continente, non devono alienarsi l’acquisto di parte dei 34 miliardi di metri cubi solo per far piacere all’inquilino della Casa Bianca, mentre agli iraniani servono tecnologia e merci occidentali. Sta anche in questo il cambio di rotta operato da Rohani, oggi benvoluto dalla Guida Suprema, dalla maggioranza del clero e da una buona fetta della popolazione. Tutti costoro non vogliono rinunciare al nucleare, ma neppure a derrate alimentari e prodotti del vivere quotidiano, siano essi hi-teach o manufatti marchiati.

 

Agli scontenti mediorientali che vanno da Israele alla dinastìa Saud, nemica economica, politica e religiosa degli ayatollah questo momento non piace, ma porta una prospettiva di dialogo e di affarismo pacifico che ai mercati mondiali pare più conveniente di quello conflittuale, fantasma sempre presente ma sempre meno favorevole ai controllori globali. 

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