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Cile: Bachelet di nuovo presidente, astensione record

Michelle Bachelet torna al palazzo della Moneda dopo una pausa di alcuni anni durante i quali è stata responsabile dell’agenzia dell’Onu per l’uguaglianza di genere. Com’era prevedibile nel ballottaggio la candidata di Nueva Mayoria – il centrosinistra allargato ai comunisti – si è largamente imposta sulla sua sfidante di destra Evelyn Matthei. Una vittoria netta 62,2% contro il 37,7% – che riporta la figlia del generale Bachelet alla presidenza della Repubblica dopo che già aveva occupato questo incarico dal 2006 al 2010. Ma non un plebiscito, se si considera che alle urne sono andati solo il 41% dei cileni che ne avevano diritto, a dimostrazione di una mancanza di appeal delle due grandi coalizioni e di un clima di sfiducia sociale che neanche l’apertura della coalizione formata da democristiani e socialisti al Partito comunista di Camila Vallejo è riuscita a scalfire.

Si chiude comunque con la vittoria di Michelle Bachelet l’oscura tappa contrassegnata dalla presidenza del miliardario di destra e iperliberista Sebastián Piñera, che non ha mai fatto mistero di operare in continuità con il programma economico e politico della dittatura di Augusto Pinochet. Una politica che per la prima volta negli ultimi decenni ha generato in Cile una forte reazione sociale, dominata dalla mobilitazione degli studenti – che a volte hanno trainato in piazza giovani precari e lavoratori – che non a caso la Concertaciòn ha tentato di solleticare imbarcando alcuni tra i più influenti portavoce della protesta, candidati e poi eletti nelle file del Partito Comunista.

Ma che il ritorno dell’esponente socialista alla Moneda supponga l’apertura “di una nuova tappa nel paese” è tutto da vedere. La Bachelet non si è certo distinta per una particolare verve riformatrice durante la sua prima presidenza, e questo spiega il perché di una scarsa mobilitazione sociale a suo favore in questa tornata. E alcune delle sue prime dichiarazioni dopo la vittoria non sembrano indicare una discontinuità netta rispetto al passato. “Abbiamo fatto molto, abbiamo costruito un paese di cui sentirci orgogliosi, con un’economia sana, una democrazia stabile e una società e una cittadinanza cosciente dei suoi diritti” ha detto la figlia del generale assassinato dagli aguzzini fascisti durante la prima fase della dittatura militare che la Matthei rappresentava personalmente, oltre che ideologicamente, essendo a sua volta la discendente di un generale golpista.
Sapendo di toccare una corda alla quale la società cilena è assai sensibile Bachelet ha promesso comunque di lavorare per costruire “un sistema educativo pubblico, gratuito e di qualità”. “Nessuno ha più dubbi: il profitto non può essere il motore dell’istruzione perché questa non è una merce e perché i sogni non sono un bene di mercato ma un diritto di tutti e di tutte” ha garantito. Secondo uno studio recente, dei 100 migliori istituti superiori del paese solo due sono pubblici, e studiare negli altri 98 costa in media di 300 euro al mese, cioè quanto guadagna mediamente un lavoratore cileno. Per non parlare delle università, letteralmente inavvicinabili per la maggior parte dei giovani del paese, se non a costo di un indebitamento a vita nei confronti delle banche che concedono i prestiti alle famiglie necessari a poter iscrivere e mantenere i figli durante gli studi. Per entrare nelle varie facoltà i giovani devono fare un test d’ingresso, e più le scuole superiori che hanno frequentato erano care ed esclusive più punti hanno a disposizione, partendo avvantaggiati per aggiudicarsi il diritto a proseguire gli studi rispetto ai loro colleghi meno abbienti. Oltretutto quasi tutte le università sono private – le due pubbliche non fanno la differenza – e per frequentarle ogni anno occorre sborsare circa 5000 euro, un’enormità per un qualsiasi cileno che non appartenga alla grande o media borghesia. Le borse di studio garantite agli studenti ‘meno fortunati’ non possono e non vogliono ridurre più di tanto l’enorme selezione di classe che il sistema d’istruzione ereditato dal periodo della dittatura ha imposto.

Ma la riforma del sistema d’istruzione del paese non è l’unica grande sfida che il nuovo governo dovrà affrontare e risolvere.

Il problema è che l’economia del Cile sarà pure ‘sana’, come afferma l’esponente socialista – il Pil è cresciuto del 5,5% l’anno dal 2010 – ma la condizione sociale di milioni di cileni è drammatica, con un tasso di precarietà e di povertà tremendi. Decenni di politiche ultraliberiste, mai interrotte neanche dopo la fine della dittatura fascista e la morte di Pinochet, hanno prodotto un tasso di diseguaglianza sociale tra i più alti di tutto il continente latinoamericano.

L’economista Marcos Kremerman sull’edizione odierna di El Pais riporta alcuni dati significativi: “Il 5% più ricco della popolazione guadagna 257 di più del 5% più povero. Uno studio di quest’anno realizzato dalla Universidad de Chile dimostra che l’1% dei più ricchi concentra su di sè il 31% del reddito globale. Negli USA l’1% più ricco si appropria ‘solo’ del 21%, in Germania del 12%. (…) In Cile il 50% dei lavoratori guadagna meno di 251.000 pesos (345 euro), cioè cento volte meno di un dirigente”.

Per incidere sulla disastrosa situazione del paese il nuovo governo dovrà riformare la Costituzione pinochettista e fare la riforma del sistema fiscale oltre che quella del sistema d’istruzione. Ma le differenze tra i partiti che compongono la Nueva Mayoria su molti temi fondamentali lasciano intravedere una paralisi politica difficilmente risolvibile. Per non parlare di temi come i diritti civili, in un paese in cui l’aborto è totalmente illegale. E comunque la maggioranza parlamentare che sostiene la Bachelet non è particolarmente solida – solo 68 seggi su 120 alla Camera – e per approvare riforme strutturali dovrà cercare l’accordo della destra, il che è tutto dire. Ora bisognerà vedere se i comunisti si limiteranno a sostenere la presidenta o vorranno entrare nell’esecutivo, come sostiene il rampante presidente del partito Teillier. 

Vedremo se il secondo mandato di Michelle Bachelet si differenzierà più di tanto dal primo, e se la presenza nella coalizione vittoriosa degli esponenti comunisti farà o meno la differenza. Per ora “la nuova” presidente incassa le congratulazioni dei capi di stati del continente – dal venezuelano Maduro alla brasiliana Roussef, dall’ecuadoregno Correa al peruviana Humala – che sperano che almeno la candidata socialista porti fuori il Cile dall’area di influenza statunitense e avvicini il paese al sistema di integrazione solidale – l’Alba – che tanto ha cambiato il panorama economico, sociale e culturale del resto del continente.

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