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Sud Sudan, ancora morti, colpito aereo Usa

Oggi un aereo militare degli Stati Uniti è stato colpito durante le operazioni di evacuazione dei cittadini statunitensi in corso da ieri nel Sud Sudan. Secondo l’esercito ugandese presente nella capitale Juba nell’ambito della missione dell’Onu, contro il velivolo di Washington sono stati sparati colpi di arma da fuoco mentre stava sorvolando la città di Bor, capitale dello Stato di Jonglei, nel nord del paese, dove sono in corso pesanti scontri tra l’esercito fedele al presidente e le milizie schierate con l’ex vicepresidente Riek Machar, che avrebbero preso il controllo della zona. Secondo le prime notizie quattro militari sono stati feriti, uno di loro in maniera grave. “Dopo essere stato colpito da terra mentre si avvicinava alla località, il velivolo ha cambiato la rotta verso una base aerea fuori dal Paese e ha interrotto la missione” informa in una nota il Comando Africa di Washington.

 

Ieri ad essere colpito era stato un elicottero dell’Onu era stato colpito e gravemente danneggiato sempre nel nord del paese indipendente dal 2011 e oggi sull’orlo della guerra civile. Secondo alcuni esperti i ribelli hanno preso il controllo di alcuni campi petroliferi del Sud, sviluppo che potrebbe trascinare l’area in un conflitto ancora più violento visto che sicuramente le truppe fedeli al governo cercheranno di riconquistarle. A guidare i soldati ribelli e le milizie fedeli a Machar è Peter Gadet, astro nascente sulla scena politica e militare del paese e che potrebbe avvantaggiarsi dello scontro tra i due ex alleati che sta portando il paese sull’orlo della guerra civile. “Peter Gadet resta un punto interrogativo o, quantomeno, un personaggio del quale è difficile prevedere le mosse” racconta all’agenzia Misna Emile Lebrun, esperto del centro studi Small Arms Survey, secondo il quale in Sudan è in atto uno scontro di potere tutto interno al partito di governo, il Movimento popolare di liberazione del Sudan (Splm).

 

Secondo Jonah Leff, un altro analista di Small Arms Survey, Gadet “potrebbe essere in grado di assumere la guida dell’Armata bianca, una forza composta per lo più da Nuer, responsabile sin dai tempi della guerra civile di attacchi ai danni delle comunità Murle”. A MISNA Leff dice anche che, potenzialmente, “l’Armata bianca è in grado di mobilitare fino a 10.000 combattenti”. Dalla sua, poi, Gadet avrebbe parte dell’ottava divisione dell’esercito; unità, anche in questo caso, Nuer come lui e come Machar. Per la prima volta Gadet aveva preso le armi contro il presidente Salva Kiir e il suo governo nel marzo 2011. L’11 aprile di quello stesso anno, a nome del suo Movimento di liberazione del Sud Sudan (Sslm, nell’acronimo inglese), aveva firmato la Dichiarazione di Mayom, nel quale criticava la direzione dell’Splm denunciando un’egemonia politica della comunità Dinka e chiedendo la nascita di un governo di coalizione “democratico”. Quel testo gli era valso amicizie nuove e influenti, in particolare con alcuni capi ribelli Nuer attivi nella regione petrolifera di Unity. Dopo alcuni mesi di scontri, però, Gadet aveva approfittato di un’offerta di amnistia di Kiir ed era divenuto ufficiale dell’esercito. La sua ascesa era proseguita nel 2012, quando era stato scelto per coordinare la campagna di disarmo delle comunità Nuer e Murle in lotta tra loro a Jonglei. Un impegno culminato nel marzo scorso nell’assegnazione di un incarico di rilievo ancora maggiore: la direzione dell’offensiva militare contro David Yau Yau, un capo ribelle Murle dal 2012 alla guida dell’Esercito per la difesa del Sud Sudan (Ssda). Poi l’ultimo colpo di scena, questa settimana, con la conquista di Bor e di alcuni importanti campi petroliferi e la dichiarazione del suo sostegno a Machar. Sullo sfondo, gli interessi dei paesi e delle multinazionali petrolifere straniere che hanno spinto per l’indipendenza del Sud Sudan per mettere le mani sulle risorse del suo territorio senza dover contrattare con i leader del Sudan del Nord e che ora sono in ansia per la stabilità del nuovo stato ‘indipendente’.

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