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Sud Sudan: i ribelli avanzano, è guerra civile

Il comandante della quarta divisione dell’esercito sud sudanese, il generale James Koang Chuol, schieratosi al fianco dell’ex vicepresidente ribelle Riek Machar, ha annunciato la creazione di un’amministrazione ad interim a Bentiu, capoluogo dello stato settentrionale di Unity, passato da alcune ore sotto il controllo delle forze che il presidente accusa di aver organizzato nei giorni scorsi un golpe sventato.

 

In un messaggio diffuso dalle emittenti radiofoniche della zona, Chuol ha confermato di avere in controllo sulla città e di non essere più fedele al presidente Salva Kiir e al governo di Juba. Il propagarsi degli scontri nella ricca regione petrolifera al confine con il Sudan – il cui sottosuolo ospita il 95% delle riserve di greggio di tutto il paese – è il segno che non si ricompone e anzi si allarga la crisi apertasi lo scorso 15 dicembre, quando il governo di Kiir ha accusato alcuni reparti dell’esercito di aver messo a segno un mancato colpo di stato nel paese.

A preoccupare in queste ore è soprattutto la situazione a Bor, capoluogo dello stato nordorientale di Jonglei passato sotto il controllo dei ribelli guidati da Peter Gadet, anche lui schieratosi con Machar: nella città continua la fuga di civili in massa nelle basi Onu e nelle campagne. Secondo stime delle Nazioni Unite, in Sud Sudan sono già 63.000 le persone in fuga a causa dei combattimenti, 40.000 delle quali rifugiate nelle basi dei caschi blu dell’Unmiss, missione composta più che altro da soldati dei vicini paesi africani ma con il sostegno fondamentale delle truppe statunitensi.

Continuano a moltiplicarsi, inoltre, le segnalazioni di esecuzioni sommarie e violenze su base etnica. Il principale timore, infatti, è che la lotto ai vertici dello stato tra Kiir, esponente dell’etnia Dinka e il suo ex vice Machar, rappresentante della seconda comunità più diffusa nel paese, i Nuer, possa propagarsi dando il via ad una vera e propria guerra civile.

Nel fine settimana elicotteri militati statunitensi intenti in un’operazione di soccorso ed evacuazione di cittadini di Washington e civili sud sudanesi a Bor sono stati attaccati da terra. Lo scontro si è risolto con quattro militari feriti, due dei quali ridotti in gravi condizioni. Da quel momento gli Stati Uniti hanno deciso lo schieramento di altri 45 soldati per garantire la sicurezza ai loro cittadini residenti nel paese e dei loro interessi. E questa mattina l’inquilino della Casa Bianca ha affermato che “se necessario” gli Stati Uniti prenderanno nuove misure per risolvere la situazione nel Sud Sudan. 

Un incontro tra Salva Kiir e Rebecca Nyadeng de Mabior, esponente della fronda ribelle di Machar, si è concluso con un nulla di fatto. De Mabior aveva chiesto come precondizione all’avvio di un negoziato la scarcerazione degli 11 esponenti politici del partito di maggioranza (Splm) a cui entrambe le fazioni fanno capo, accusati di tradimento e arrestati all’indomani del presunto golpe.

Di seguito vi proponiamo una scheda pubblicata due giorni fa dal quotidiano La Stampa che ci descrive i due principali protagonisti del sanguinoso conflitto che si è scatenato in un paese la cui indipendenza è stata attivamente sostenuta dalla cosiddetta ‘comunità internazionale’ per sottrarre le sue risorse petrolifere al regime sudanese, da sempre sulla lista nera di Washington e Bruxelles.

 

Mayardit e Machar, i due “scorpioni” che hanno scatenato la guerra civile

Giordano Stabile – La Stampa

La guerra è ricominciata in Sud Sudan. Era questione di tempo. Uno dei due scorpioni, il presidente Salva Kiir Mayardit e il suo vice Riek Machar, prima o poi doveva pungere la rana del faticoso accordo di pace raggiunto nel 2005. Per trent’anni si sono combattuti, poi si sono alleati, hanno tramato, tradito per prendersi l’eredità del padre della patria John Garang. Nel 2011, assieme, hanno festeggiato l’indipendenza dopo decenni di lotte contro il nord musulmano. La nascita della 193esima nazione del mondo, la fine delle sofferenze.

Il Sud Sudan, seduto su un mare di petrolio, è però una nazione senza Stato, divisa fra 64 tribù. Due sono quelle che contano, i dinka di Mayardit, i nuer di Machar. Mentre lottavano contro gli islamici del nord si sono fatti la guerra a intermittenza, pronti a spartirsi il bottino in caso di vittoria. L’Onu, in cambio della garanzia mondiale sull’indipendenza, gli ha imposto una camicia di forza: 13mila militari a guardia della capitale, due immensi compound da dove ong e agenzie governative di fatto costruiscono e tengono in piedi le strutture statali, dalla sanità, all’istruzione, all’esercito.

Sembrava una garanzia sufficiente affinché gli scorpioni trattenessero l’istinto e non usassero i pungiglioni per sabotare una libertà conquista al prezzo di due milioni di morti. E invece no. Il 23 luglio scorso, appena festeggiati i due anni dell’indipendenza in una Giuba, la capitale, in pieno boom edilizio, appena firmato l’accordo per poter esportare il petrolio attraverso l’ex nemico mortale, il Sudan del Nord del ricercato (dall’Onu) Omar Bashar, il presidente Mayardit ha rimosso dalla vicepresidenza il rivale di sempre Machar. Che pure aveva promesso di voler aspettare la scadenza del mandato e le nuove elezioni nel 2015 per prendersi, legalmente, la presidenza. 

Un’attesa troppo lunga per lui, un rischio troppo alto per Mayardit. Domenica la faida è scoppiata all’interno della Guardia presidenziale, suddivisa fra etnie, fra dinka e nuer, come tutto l’esercito. Mayardit dice di aver “sventato un tentativo di golpe”. Machar gli ha risposto ieri che “l’incidente” è scoppiato “per un equivoco”, quando gli uomini del presidente si sono avvicinati al suo quartier generale. E qualcuno ha cominciato a sparare L’incidente si però trasformato in una battaglia terribile. Almeno 500 morti solo nella capitale, centinaia di feriti. I compound dell’Onu sono stati presi d’assalto da decine di migliaia di civili in fuga dai colpi di mortaio e mitragliatrice che cadevano sulle case. “Ne abbiamo accolto 20mila- conferma il coordinatore dell’Onu nel Paese Toby Lanzer -. La situazione nella capitale si sta normalizzando. Il problema è che non sappiamo che cosa sta succedendo nelle province, soprattutto nello Jonglei”, dove l’etnia di Machar è maggioritaria e la guerriglia non ha mai avuto soste.

“Ci sono scontri nel capoluogo, Bor, e in molti villaggi”, conferma Clement Wani, della Eye Radio, una delle poche emittenti indipendenti. Non siamo ancora agli scontri etnici, per fortuna: “Sono solo i militari fedeli a uno o all’altro che si fronteggiano”. Macher incita l’esercito a “rovesciate Mayardit e Mayardit dà la caccia a Macher. Sa che non sarà facile. Macher è sfuggito a decine di agguati. Come quando, con la sua seconda moglie, la britannica Emma McCune, uscì indenne da una grandinata di proiettili di kalashnikov che colpirono la sua auto. Era il 1993. Vent’anni sembrano passati invano.


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