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Sud Sudan: testimoni denunciano pulizia etnica

Sembra aggravarsi di giorno in giorno la situazione in Sud Sudan. Secondo alcuni testimoni citati dalla stampa occidentale i soldati sud-sudanesi fedeli al governo sarebbero responsabili di una lunga serie di omicidi, esecuzioni e stupri motivati da ragioni etniche. Secondo alcuni sopravvissuti intervistati dalla France Presse i soldati fedeli al governo avrebbero arrestato oltre 200 uomini, li avrebbero condotti al posto di polizia della capitale Juba, dove poi li avrebbero giustiziati quasi tutti. I due testimoni, feriti, sarebbero riusciti a fuggire e a trovare rifugio in una base delle Nazioni Unite a Juba, insieme ad altri dieci scampati al massacro.

Gli inviati dell’Onu hanno informato nella tarda mattinata di oggi di aver trovato una fossa comune nella città di Bentiu con 75 corpi appartenenti a persone dell’etnia Dinka e di averne individuate altre due nella capitale contenenti ancora un numero imprecisato di vittime.

Le testimonianze di diverse altre persone hanno ugualmente descritto atti di violenza etnica accompagnati da omicidi e stupri compiuti dal 15 dicembre in poi, da quando cioè si affrontano i soldati fedeli al presidente Salva Kiir a quelle del rivale Riek Machar, l’ex vicepresidente allontanato dal potere a luglio. Kiir accusa Machar e i suoi sostenitori, sempre più numerosi, di aver orchestrato un golpe, imputazione che il suo ex vice rigetta, accusando a sua volta il capo di stato di “autoritarismo” e di volersi sbarazzare di qualsiasi voce critica.

Le forze ribelli hanno preso il controllo di numerose regioni del nord del paese. Quelle che controllano Bentiu, capitale dello stato petrolifero di Unity hanno affermato che “dirotteranno le rimesse del greggio estratto dai pozzi petroliferi e interromperanno il flusso economico verso Juba”. E’ la minaccia dello stesso ex vicepresidente Riek Machar che ha aggiunto: “Chiuderemo i rubinetti (…) ci occuperemo di negoziare direttamente con Khartoum per il trasferimento del petrolio negli oleodotti sudanesi”. Una notizia ferale per l’esecutivo di Juba che dipende per il 98% dai proventi dei giacimenti del nord.

Inoltre dopo la conquista degli stati di Jonglei e Unity le forze militari agli ordini di Machar starebbero progredendo anche nello stato di Upper Nile, altro importante polo petrolifero al confine con il Sudan.

Dal carcere di Juba, intanto, sono giunti gli appelli alla calma e al “dialogo pacifico” da parte di 11 uomini politici, tra cui ex ministri, incarcerati all’indomani del presunto golpe perché ritenuti vicini a Machar. Lo ha reso noto l’inviato statunitense nel paese Donald Booth subito dopo averli incontrati. Ieri su richiesta del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon, il Consiglio di Sicurezza ha approvato l’invio di altri 5000 caschi blu nel paese ‘indipendente’ dal 2011 per rafforzare la missione Unmiss, forte di 7000 uomini già sul terreno.

 

“Quello che è iniziato come uno scontro interno del Movimento popolare per la liberazione del Sudan (Splm), tra Machar e Kiir rischia di trasformarsi in un conflitto civile dalle conseguenze imprevedibili” sottolineano le fonti dell’agenzia di stampa MISNA. Le forze politiche e militari in competizione tra loro infatti “stanno facendo leva su tensioni etniche facili da strumentalizzare, soprattutto tra i giovani” osservano gli analisti “cavalcando un sentimento di malcontento radicato nella crisi economica e nel mancato sviluppo che, a distanza di anni dalla fine del conflitto con Khartoum, resta una chimera inaccessibile”.

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