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Paese Basco: Arkaitz, ammazzato in carcere dalla dispersione

“Nel 1983 i GAL (squadroni della morte creati dagli apparati di sicurezza spagnoli, ndr) sequestrarono Segundo Marey. Condannarono José Barrionuevo e Rafael Vera a 10 anni di carcere. Uscirono di prigione dopo 3 mesi. Poi condannarono a 10 anni anche Miguel Planchuelo e Julián Sancristóbal. Uscirono dopo 10 ore. Neanche un giorno di galera. Anche Ricardo García Damborenea rimase 10 ore in carcere, nonostante che lo avessero condannato a 7 anni… Julen Elorriaga scontò 19 mesi, dei 75 anni di condanna.
Per aver bruciato un autobus Arkaitz Bellón era in carcere da 13 anni, e gli mancavano solo 3 mesi per uscire, avendo compiuto integralmente tutta la pena. E’ morto in galera, a 36 anni, a 1.003 chilometri da casa”.

E’ così che la scrittrice e candidata a lehendakari alle scorse elezioni regionali per la sinistra indipendentista, Laura Mintegi, ha commentato la morte nel carcere di Puerto Santa Maria 1 (Cadice) di un giovane prigioniero politico basco. Una frase che riassume molte delle ingiustizie e dei paradossi che contraddistinguono la eterna crociata dello Stato Spagnolo contro il popolo basco.

Arkaitz, originario del comune di Elorrio – a qualche decina di chilometri da Bilbao – era stato condannato nel 2000 per reati di ‘guerriglia urbana’ che in qualsiasi altro territorio dello stato gli sarebbero costati una multa e qualche mese in cella. Per il solo fatto di essere basco venne giudicato da un tribunale speciale e sottoposto a una legislazione speciale, trattato alla stregua di un terrorista e condannato a quasi 14 anni di reclusione. Sarebbe dovuto uscire a maggio, e chi lo aveva visto in questi giorni – i compagni di prigionia e i parenti, durante l’ultima visita – ha raccontato che stava bene ed era su di morale, ormai prossimo alla liberazione. Ma ieri pomeriggio lo hanno trovato morto nel letto della sua cella, in un carcere duro a più di mille chilometri da casa.

Di cosa è morto Arkaitz? Di morte naturale, giurano le autorità spagnole che hanno fatto eseguire in fretta e furia un’autopsia alla quale però non ha potuto partecipare un medico nominato dalla famiglia della vittima. Possibile che un giovane sano possa essere morto improvvisamente senza nessuna avvisaglia? Se lo chiedono molti baschi, in queste ore.

Ma è indubbio che Arkaitz sia morto di dispersione. Una politica di punizione aggiuntiva rispetto alle pene già esorbitanti comminate ai militanti baschi dai tribunali speciali spagnoli inventata a tavolino dai socialisti, negli anni ’80. E diretta a sfiancare, annichilire scientificamente non solo i prigionieri sbattendoli in carceri di massima sicurezza lontane il più possibile da casa, ma soprattutto volta a punire i loro familiari, i loro amici, a rendere difficile il lavoro dei loro avvocati.

La famiglia di Arkaitz aveva avuto vari incidenti negli anni, mentre percorreva in macchina i 1000 chilometri necessari ad arrivare in Andalusia, l’ultimo poche settimane fa. E Arkaitz più volte aveva denunciato minacce, pestaggi e torture da parte delle guardie in diversi penitenziari, anche più del ‘normale trattamento’ riservato dai ‘nemici dello Stato’ dallo zelante personale delle prigioni (che del resto non risparmia botte e maltrattamenti neanche agli spagnolissimi detenuti comuni). Almeno quattro volte durante la sua prigionia – a Herrera de la Mancha, Puerto III, Siviglia e Puerto I – era stato brutalmente pocchiato dai suoi carcerieri.

Non è la prima volta che un militante basco muore: tanti negli anni sono stati vittima degli squadroni della morte, della polizia, delle esecuzioni extragiudiziali, delle palle di gomma sparate contro le manifestazioni, dei pestaggi e della mancanza di cure nelle prigioni. Arkaitz Bellón non è il primo ‘martire’ della causa basca.

Ma la sua morte, in queste ore, pesa come un macigno in quel pezzo di società che si riconosce nella sinistra indipendentista o che ha a cuore un futuro di libertà. In molti speravano, si aspettavano, che il tanto auspicato ‘processo di pace’ ponesse almeno fine a queste tragedie, che le prigioni si svuotassero pian piano almeno di quei prigionieri condannati per reati non di sangue. E invece no. Tutto sembra rimasto come prima, sul fronte della repressione e dello Stato, nonostante che sul fronte della sinistra indipendentista il disarmo – anche ideologico, oltre che materiale – vada avanti spedito. Sono ancora lì la dispersione, la violazione della legge che prevede che la pena venga scontata nelle carceri del proprio territorio, di quella che impone la scarcerazione dei detenuti gravemente malati e di quelli che abbiano scontato due/terzi della pena. E’ ancora lì un atteggiamento persecutorio nei confronti dei prigionieri politici baschi, continuamente vessati, spostati di cella, perquisiti, puniti. Altro che processo di pace. Un frustrante, perenne pantano nel quale ad ogni passo indietro della sinistra basca corrisponde un passo in avanti dello Stato e delle sue istituzioni.

Non importa che ogni anno, nelle strade di Bilbao, i manifestanti solidali con i prigionieri politici siano sempre più numerosi. Non importa neanche che la sinistra basca abbia rinunciato alla storica rivendicazione dell’amnistia, ripiegando su una teoricamente più gestibile – per Madrid – soluzione individuale per i detenuti.

Ma il governo spagnolo non può – e non vuole – trattare, vuole solo vincere, ottenere la tanto perseguita capitolazione dello storico nemico. Al quale non è permesso neanche di piangere i propri morti: oggi la polizia ‘autonoma’ basca ha arrestato tre ragazzi che manifestavano ad Algorta esponendo la foto di Arkaitz. Come recitava una vecchia canzone dei Kortatu, “hay algo aquì que va mal…”.

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