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Gli italiani non sono più europeisti

Che contraddizione. Mentre i vari cocci di una sinistra evidentemente sempre più lontana dalla società perdono l’occasione fornita dalle imminenti elezioni europee e si presentano all’interno di una lista che si definisce ‘neoeuropeista’, un sondaggio rivela che i cittadini italiani, in maniera abbastanza trasversale, non vedono più molto di buon occhio il superstato europeo in costruzione. Come dicono alcuni giornali, anche in Italia, come da tempo nel resto d’Europa, soffia impetuoso il vento dell’euroscetticismo.

Stando ai dati raccolti dal cosiddetto “Eurobarometro Standard” – annuale sondaggio sul giudizio dei cittadini dei vari paesi dell’Ue sull’Unione e sui singoli governi – più della metà degli italiani non si sente cittadino europeo (il 53%) ed è convinta (il 55%) che la Ue non va nella giusta direzione (giudizio negativo che la primavera scorsa era invece minoritario, al 46%).
Per non parlare del crollo di fiducia nelle istituzioni europee: la Commissione Ue è crollata al 32% (dal 35 dell’ano scorso), l’Europarlamento poco al di sopra, al 36% (era il 41). E anche la moneta unica comincia a perdere seriamente terreno rispetto al passato, ed oggi si attesta ad un indice di gradimento di appena il 53% mentre la fiducia nella Bce guidata dall’italiano Mario Draghi raccoglie qualcosa in più ma non arriva al 31% di consensi.
Solo il 45% degli italiani, le cui priorità riguardano la soluzione della crisi economica e sociale, dice di sentirsi europeo in controtendenza rispetto ad una media pro-Ue nell’insieme dei 28 paesi aderenti all’unione che è del 59%. Ma soprattutto, denuncia il rapporto presentato recentemente a Roma, l’Italia ora è uno dei soli cinque Paesi dell’Unione Europea dove la percentuale di coloro che si sentono cittadini europei è inferiore del 50%.
L’Eurobarometro rivela anche che il 79% degli italiani ritiene che le proprie opinioni non siano rappresentate all’interno dell’Ue mentre il 71% è convinto del fatto che gli interessi nazionali non siano sufficientemente presi in considerazione a livello continentale. Mentre nell’insieme dell’Unione Europea ma maggioranza – seppur risicata – del campione è ottimista rispetto al futuro dell’integrazione europea, in Italia prevalgono i pessimisti con il 52% degli intervistati.

Ha quindi senso, in questo contesto, continuare a ignorare il sentimento anti-Ue della maggioranza della popolazione e continuare a proporre per l’ennesima volta una parola d’ordine vuota e di circostanza – come quelle della “riforma dell’Ue” e della ‘Europa dei popoli” o della ‘altra Europa’ – quando in realtà compito delle sinistre radicali dovrebbe essere quello di orientare il malcontento popolare contro Bruxelles e Francoforte verso una via d’uscita progressista e di rottura, alternativa e opposta al ritorno ai vecchi nazionalismi degli Stati-Nazione?

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