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Libia: scontro sul petrolio. Governo: “bombarderemo navi ribelli”

Si è detta pronta ad intervenire con la forza la Marina militare libica nel caso in cui la petroliera nord-coreana Morning Glory, ancorata da sabato nel porto di al Sedra (o al Sidra), ad est della capitale Tripoli, non dovesse allontanarsi, come ingiunto dalle autorità di Tripoli. Lo riferisce il quotidiano Libya Herald precisando che quattro navi delle forze libiche “stanno aspettando fuori dal porto” e “si stanno preparando all’uscita della petroliera” per scortarla verso un altro terminal portuale, dove sarà fermata per controlli a tappeto “prima che esca dalle acque territoriali libiche”.
Secondo molti analisti in realtà la marina libica non avrebbe a disposizione unità in grado di combattere. L’esercito conta poche migliaia di uomini mentre le milizie dei vari signori della guerra e tribù, almeno 300 secondo l’ultimo rapporto del Ce.Si, potrebbero contare su 100mila uomini armati. Decine di migliaia, in Cirenaica, molti dei quali legati a gruppi jihadisti. 
Nel fine settimana si è infervorato lo scontro politico-diplomatico tra il governo libico e la proprietà della nave sotto accusa, ma soprattutto tra Tripoli e ribelli separatisti della Cirenaica intenzionati ad esportare greggio senza passare per il governo centrale. Dallo scorso agosto gli insorti hanno il controllo dei tre principali porti orientali con l’obiettivo dichiarato di ottenere maggiore autonomia praticamente totale nella gestione delle risorse petrolifere.

Un “comitato di crisi” appositamente costituito da esponenti di governo e giuristi ha lanciato un ultimatum alla Morning Glory, scaduto ieri alle 14. Sul posto la situazione rimane tesa ed incerta. All’origine della nuova crisi sul petrolio della Cirenaica c’è un tentativo dei miliziani armati locali di “commettere un atto di pirateria” che “rappresenta una violazione della sovranità nazionale” ha dichiarato il ministro del Petrolio, Omar Shakmak, aggiungendo che “tocca al ministero della Difesa trattare con quella nave”. Poche ore prima, un portavoce dei ribelli indipendentisti aveva annunciato: “abbiamo cominciato ad esportare petrolio, è stato il nostro primo carico”. Abb-Rabbo Albarassi, autoproclamatosi premier della Cirenaica indipendente, ha ribattuto di «aver tentato di raggiungere un accordo con il governo e Congresso di Tripoli ma loro non hanno voluto. Se ci attaccano risponderemo con le armi». La guerra civile libica non è ancora finita. 

Lo scorso gennaio la marina militare ha già bloccato due imbarcazioni che stavano cercando di prelevare greggio dallo stesso porto di Sedra, senza alcuna autorizzazione da parte della National Oil Corporation (Noc). Anche in quel caso il governo aveva minacciato di bombardare ogni nave cisterna che avrebbe attraccato senza alcuna autorizzazione. A luglio dello scorso anno il settore petrolifero, vitale per le finanze pubbliche della Libia, è già stato messo in crisi dalle guardie addette alla sicurezza che hanno chiuso alcuni dei principali terminal di produzione ed esportazione, accusando le autorità di corruzione e rivendicando una distribuzione più equa delle entrate petrolifere. I successivi blocchi delle attività petrolifere hanno fatto calare la produzione quotidiana del 50%, causando perdite milionarie ad uno Stato che nei fatti non esiste più. La Libia dipende per il 90% dalla vendita di greggio e la produzione, dopo la ribellione a Est, cominciata nel maggio scorso, è scesa a soli 260mila barili giornalieri. Ai tempi di Gheddafi era 1,6 milioni.

La vicenda del porto di al Sedra si inserisce in un contesto di grande insicurezza in tutto l’est della Libia, dove sono attivi anche gruppi armati stranieri, e nel sud, teatro di violenti tensioni tra diverse comunità. Anche la situazione politica appare sempre più incerta con un braccio di ferro aperto tra il Congresso generale nazionale (parlamento) e il governo di Ali Zeidan.

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