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Un pezzo d’Afghanistan cerca il presidente

La Commissione Elettorale Indipendente, che presiede le operazioni del voto afghano, s’è mostrata molto soddisfatta nel diffondere i dati sull’affluenza alle urne. Le cifre, tuttora parziali, parlano di circa sette milioni di votanti (il 35% sono donne); se confermate l’ingresso dei cittadini nei seggi sarebbe aumentato del 50% rispetto al 2009. La trasparenza, già lodata dagli organismi preposti alle elezioni, appare anch’essa in crescita. Le date del 24 aprile e 15 maggio dovrebbero fornire rispettivamente risultati preliminari e finali. Nonostante l’ottimismo la  Commissione Elettorale non ha nascosto che al suo fianco lavora un organismo impegnato nel trattare i ricorsi. Ne sono giunti oltre tremila in quarantotto ore, la metà è stata trasmessa oralmente via telefono, l’altra metà per iscritto e queste carte viaggiano dalle varie province a Kabul. Ben 773 denunce sono rivolte nei confronti della Commissione dei ricorsi, e questo la dice lunga sul rapporto di fiducia verso un apparato che non viene considerato neutrale. Oltre duecento proteste sono state lanciate contro gli otto candidati.

Il trio più quotato: Rassoul, Ghani, Abdullah, ha già compiuto schermaglie. Il dottor Abdullah, che cinque anni fa accusò di brogli il diretto concorrente Karzai, stavolta è rimasto tranquillo. Almeno finora, mentre gli altri due sfidanti, pur annunciando preventivamente di accettare i risultati finali, hanno fatto muovere l’un contro l’altro i propri staff. E non più per la propaganda preliminare dei comizi pre voto, ma nel corso del trasferimento delle urne piene di schede. E’ di stamane la notizia che a Khost, luogo del recente assassinio della fotoreporter Anja Niedringhaus, un manipolo di uomini ha cercato di bloccare i box sigillati in attesa di trasporto, li ha manomessi inserendo ulteriori schede votate. I supporter di Ghani e Rassoul si sono reciprocamente accusati della vicenda. Rassoul, Ghani e Abdullah durante la campagna elettorale hanno molto puntato sull’immagine giovanile da proiettare nella nuova fase politica. Hanno promesso d’introdurre giovani leve nei futuri passi che ciascuno di loro pensa di compiere se verrà eletto presidente. Discorso non nuovo nel panorama afghano, il medesimo fu recitato e puntualmente disatteso proprio da Hamid Karzai. Un sondaggio che aveva preceduto l’avvio elettorale ribadiva che contrasto ai talebani, acerrima battaglia alla crescita esponenziale di produzione, esportazione (e anche del consumo locale) del papavero da oppio fossero le prime questioni da risolvere.

 

Seguìti dal contrasto alla corruzione politica e alla disoccupazione sociale, per provvedere quindi al rilancio di un’economia autoctona. Posizioni di buon senso sostenute soprattutto da forze e personaggi democratici che non hanno potuto né voluto candidare nessuno al vertice dello Stato. Punti   utilizzati da tutti i candidati alla presidenza come splendida maschera dietro cui coltivare i propri interessi e gli affari di gruppo e di clan come accade da decenni. Guerra o pace non fa differenza. Diversi gli intendimenti sul Bilateral Security Agreement, cui invece puntano prevalentemente i tecnocrati, pronti a prestare ascolto a ogni esigenza statunitense nella regione. Quella geostrategica su tutte. 

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