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Istanbul: Primo Maggio vietato, cariche e arresti

Non è una novità, in Turchia, il divieto della manifestazione convocata dai sindacati per il Primo maggio. Che da quelle parti continua ad essere un momento di conflittualità alta a difesa dei diritti dei lavoratori, e non un giorno di ‘festa’ trasformato in kermesse musicale. Sono decenni che, tranne rarissime eccezioni, ai sindacati di classe turchi il governo e le autorità di pubblica sicurezza vietano di manifestare in quello che dovrebbe essere il centro della vita pubblica e politica del paese, Piazza Taksim, ormai sistematicamente bandita a suon di bastonate e gas lacrimogeni ogni qual volta il divieto viene messo in discussione. 

Un atteggiamento repressivo che il governo liberal-islamista ha ulteriormente rafforzato dopo la vittoria dell’Akp alle recenti elezioni amministrative, che al di là di brogli e condizionamenti di diverso tipo hanno comunque dimostrato che Erdogan e i suoi godono comunque di un ampio consenso popolare, anche nelle grandi città, dove pure il dispotismo e le politiche dell’esecutivo sono state duramente contestate l’estate scorsa e poi anche recentemente da un movimento di massa imponente.
E quindi il copione tradizionale – divieto di manifestare il Primo maggio, botte a chi protesta contro il divieto – si è ripetuto puntualmente anche quest’anno.
Ieri un folto gruppo di dirigenti e attivisti del Disk – la Confederazione dei sindacati rivoluzionari dei lavoratori – ha tenuto una conferenza stampa all’interno del Taksim Hill Hotel, durante la quale il presidente dell’organizzazione dei lavoratori ha dichiarato la volontà del sindacato di non rispettare un divieto, comunicato nei giorni scorsi dal Prefetto, che considera illegittimo e inaccettabile.
Il Disk – così come altre organizzazioni sindacali di classe e della sinistra rivoluzionaria turca – continuano a considerare d’obbligo manifestare nella piazza in cui, il Primo maggio del 1977, un attacco fascista provocò la morte di 36 manifestati, falciati dal fuoco di cecchini naturalmente mai identificati e processati. Una strage di matrice governativa che, incredibilmente, viene da allora presa a pretesto dai vari governi per impedire che proprio in quella piazza i sindacati rivendichino i diritti economici e politici dei lavoratori. Ufficialmente per non meglio precisati ‘problemi di sicurezza’. Negli ultimi anni, anche prima che milioni di turchi scendessero in piazza durante quello che viene conosciuto come il movimento a difesa di Gezi Park, decine di migliaia di lavoratori e attivisti di sinistra sono sempre scesi in piazza nel centro di Istanbul per contestare il divieto e immancabilmente, tranne che nel 2010 quando la piazza venne concessa, sono stati attaccati con violenza da un imponente dispositivo di polizia. Ogni volta lo stesso bilancio: lavoratori gasati e feriti, attivisti e dirigenti arrestati.
Stesso scenario anche ieri, un assaggio di ciò che potrebbe essere la giornata del Primo Maggio. Finita la conferenza stampa, l’intenzione dei sindacalisti era quella di tenere un incontro pubblico fuori dall’Hotel, in Piazza Taksim, insieme ad altre realtà del mondo del lavoro e dell’associazionismo progressista. Ma Taksim era blindata da inizio mattinata, trasformata in zona rossa, e gli esponenti del Disk non hanno fatto in tempo a mettere il naso fuori dall’albergo che sono immediatamente partite le manganellate degli agenti in tenuta antisommossa, che hanno naturalmente fatto ampio uso di spray urticante. Secondo i quotidiani della sinistra turca alcune decine di attivisti e sindacalisti sono stati fermati e portati in una vicina questura. Tra questi anche Erdal Kopal, il segretario del comparto trasporti del Disk.
Dura naturalmente la condanna da parte dell’organizzazione dei lavoratori al quale è stato impedito anche un presidio del tutto simbolico, alla quale si è unita la dura presa di posizione da parte dell’altro sindacato di sinistra, il Kesk (che rappresenta i dipendenti pubblici), che ha annunciato la propria partecipazione ad una mobilitazione del prossimo Primo Maggio che dovrebbe portare in piazza parecchie decine se non centinaia di migliaia di lavoratori e oppositori di sinistra dell’esecutivo liberal-islamista. Nei giorni scorsi altre realtà avevano dichiarato la propria volontà di contestare attivamente il divieto partecipando alla manifestando del Primo Maggio, da esponenti del “Comitato Solidarietà con Taksim” passando per l’Associazione degli Ingegneri e degli Architetti di Turchia (TMMOB) fino all’Associazione dei Medici di Turchia (TTB). Attraverso distinti comunicati hanno annunciato la propria mobilitazione anche numerosi partiti di sinistra tra i quali l’HDP (Partito Democratico dei Popoli), il curdo BDP (Partito della Pace e della Democrazia), l’EMEP (Partito del Lavoro), l’ÖDP (Partito della Libertà e della Democrazia), l’ESP(Partito Socialista degli Oppressi). 

Certamente il clima in Turchia si fa sempre più pesante. Nei giorni scorsi alcune decine di persone che sempre in Piazza Taksim avevano provato a ricordare silenziosamente Berkin Elvan, il quindicenne colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato da un poliziotto ad altezza d’uomo e morto alcune settimane fa, sono state assalite dalla polizia e 61 dimostranti sono stati portati in Questura ammanettati. Stessa sorte – cariche e arresti – era toccata domenica alle tifoserie delle principali squadre di calcio di Istanbul – Besiktas, Fenerbahce e Galatasaray – che manifestavano in Piazza Galatasaray contro alcune disposizioni restrittive in tema di accesso agli stadi.

Proprio ieri a Izmir, la terza città del paese, è iniziato il processo contro 29 giovani e attivisti arrestati nei mesi scorsi e accusati di aver violato la legge pubblicando su Twitter comunicati contro il governo di Ankara nell’ambito delle proteste scoppiate la scorsa estate per fermare la distruzione del Gezi Park a Istanbul. Gli avvocati della difesa hanno denunciato che il processo, aggiornato immediatamento al prossimo 14 luglio, ha un valore tutto politico con l’obiettivo di intimidire coloro che continuano ad opporsi alle politiche autoritarie dell’esecutivo. Di fatto l’unica ‘colpa’ degli imputati, alcuni dei quali giovanissimi ed estranei ad organizzazioni politiche, è di aver semplicemente diffuso sui social network informazioni riguardanti le mobilitazioni contro il governo e contro la repressione. ”Questi tweet vanno protetti dalla Costituzione e ora lo sono – ha detto uno degli avvocati difensori, Duygucan Yazici – Quelle contro di loro sono accuse politiche”. Ma alcuni degli imputati sono accusati incredibilmente di aver “insultato il primo ministro” ed Erdogan viene formalmente indicato nei capi d’accusa come ‘vittima’.

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