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Afghanistan, le stelle stanno ancora a guardare

Mille persone in corteo a Kabul, sul viale che un tempo veniva definito del Primo Maggio, è una notizia che la stampa occidentale ha glissato. Così anche i media che s’interessano dello scontro presidenziale fra Abdullah e Ghani oppure ai disastri naturali come le inondazioni e i periodici agguati talebani. Silenzio. Le informazioni che scompaiono riguardano sempre i derelitti o le faccende scomode, come i raid di aerei e droni autori dei “danni collaterali” ovvero l’uccisione di civili. Ogni tanto questi “danni” appaiono sui report dell’Us Army e pochi media li divulgano. In quel corteo del 1° maggio hanno sfilato pure ragazzi e qualche bambino, colleghi e superstiti dell’ennesima strage sul lavoro che s’era verificata proprio alla vigilia della festa dei lavoratori. Giovani che dovrebbero studiare e invece finiscono in miniera per sostenere economicamente famiglie sempre più povere. Purtroppo non si tratta di un’eccezione nel panorama lavorativo orientale e il travagliato Afghanistan s’adegua anche ora che tutti parlano di futuro e sviluppo dell’economia.

Dagli occupanti occidentali, pronti a dettare un diritto di prelazione per le proprie aziende nel settore minerario; alla Cina, nuovo padrone del mercato mondiale, che coi suoi colossi (China Metallurgical Group) pratica da tempo una penetrazione capitalista di altissimo profilo in Asia e Africa. I neo politici afghani, e coloro che nuovi non sono affatto, promettono sviluppo per Paese e cittadini, ma a detta di strutture sindacali come l’Amka (traslato dal dari Unione nazionale dei lavoratori e impiegati) la situazione di tanta occupazione minorile è disperante. Seppure non sia mai stata abolita una vecchia legge, promulgata durante il governo del Partito democratico del popolo, che impediva il lavoro per ragazzi al di sotto dei 14 anni, il divieto resta solo sulla carta. Com’è noto bambini e bambine addirittura di 6-7 anni lavorano alla realizzazione di tappeti e prodotti di vestiario, e fratelli appena più grandi s’arrampicano sulle impalcature delle ormai numerosissime costruzioni che spuntano come funghi in varie zone della capitale.

Oppure raccolgono rifiuti. Altri sono impegnati nelle fornaci e nelle miniere simili al buco del disastro di Mardanha-ye Tor village, nella provincia di Samangan. In quel ventre di terra 24 uomini sono diventati cadaveri, fra loro c’erano ragazzi quindicenni e altri 25 sono rimasti intrappolati. Nella stessa provincia a settembre i morti furono 23, tre anni or sono a Baghlan perirono in undici. Ovviamente si parla di decessi accertati, perché in situazioni lavorative minime diverse vittime vengono occultate e fatte sparire. Quando si tratta di bambini orfani nessuno ne reclama la scomparsa. In un mercato del lavoro che la politica corrente afferma di voler espandere ma senza tutelare la parte debole che sono i lavoratori, i bambini e i giovanissimi vengono fagocitati da un sistema che li spreme per poco più d’un pasto al giorno. Se un muratore o un minatore riceve una retribuzione che non supera i 4 dollari per nove ore di lavoro, i minori lì impegnati guadagnano meno della metà. Secondo il sindacato qualche categoria raggiunge anche i 6 dollari per una prestazione di dieci ore e anche più.

Però questi sono ritenuti casi fortunati e sono soggetti a turnazione, così dopo un breve periodo si torna disoccupati. Nonostante nella Repubblica Islamica il lavoro sia un culto (kar ebadat ast) e nei disastri, come quelli delle miniere, le imprese cerchino di “pagare” il dolore delle famiglie offrendo animali utili per la sopravvivenza (capre, muli). Nel Paese che col benestare d’importanti signori della guerra (l’ultimo appoggio giunge da Sherzai) s’appresta a sostituire Hamid Karzai col dottor Abdullah il panorama della triste condizione infantile è quello di un milione di bambini privati dell’istruzione primaria. L’Unicef afferma che quel milione negli ultimi anni sia raddoppiato. Gli anni in questione sono l’epoca della missione Isaf che esporta in loco la democrazia occidentale. Bambini di strada senza istruzione e senza i genitori morti sotto le bombe sono costretti a lavorare e vivere d’espedienti. Possono diventare ulteriori vittime, magari di parenti e amici senza scrupoli che li inducono alla prostituzione o li usano per il turpe e miserando traffico di organi. Come in altri angoli del globo dove la povertà cronica è il retroterra su cui edificare il dominio.

lo sguardo

Enrico Campofreda, 8 maggio 2014

articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it

 

 

 

 

 

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