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Svizzera: no all’acquisto di 22 caccia e all’aumento del salario minimo

I sondaggi lo avevano previsto. Ma la sconfitta delle forze che avevano promosso l’aumento del salario minimo in Svizzera fino al 60% del salario medio è stata più netta del previsto. A votare contro l’aumento fino a 4000 franchi mensili lordi (3250 euro) della retribuzione minima sono stati addirittura il 76% di coloro che si sono recati ai seggi durante il referendum di ieri. Un ‘no’ grande come una casa – e che ha vinto in 19 dei 26 cantoni – alla proposta delle organizzazioni sindacali, dei partiti di sinistra e centrosinistra – compresi socialisti e verdi – di varie organizzazioni sociali laiche e religiose che tentavano così di contrastare il crescente e asfissiante costo della vita e proteggere alcune centinaia di migliaia di lavoratori che non avendo accesso al contratto nazionale percepiscono salari da fame.

I sindacati hanno già ieri espresso il proprio disappunto per il risultato negativo della loro campagna. Come in altri casi ed in altri paesi, quando si sottopongono in maniera indistinta alla popolazione quesiti riguardanti il salario, i diritti dei lavoratori e simili si esce sconfitti. A far presa è stata la propaganda allarmistica dei partiti di destra e centristi, quella delle organizzazioni padronali e delle associazioni dei piccoli imprenditori e di una gran parte della stampa che avevano previsto, in caso di vittoria dei si all’aumento del salario minimo, una esplosione della disoccupazione (attualmente poco sopra il 3%) e il disinvestimento dal paese delle grandi multinazionali alla ricerca di un costo del lavoro basso. I più colpiti dalle conseguenze del referendum, avvertivano padroni e soci, sarebbero stati soprattutto i lavoratori precari, i transfrontalieri provenienti dall’Italia e coloro che percepiscono già salari molto bassi. E in molti, tra gli elettori, ci hanno creduto.
Ha prevalso anche un dato ideologico ‘liberista’, secondo il quale lo Stato non deve entrare nella ‘libera contrattazione’ del salario tra lavoratore e impresa, lasciando la regolazione delle condizioni di lavoro al famoso ‘libero mercato’. Non è un caso che nel paese la maggior parte delle professioni e quindi dei lavoratori non sono coperti da un contratto nazionale collettivo.
Nel resto d’Europa l’iniziativa dei sindacati elvetici è stata colta con ironia anche nelle organizzazioni progressiste, e non sono mancati gli sfottò sui “ricchi lavoratori svizzeri” che pretendono di guadagnare il doppio, se non il triplo, di quanto guadagna un normale salariato del continente. Ma il referendum mirava più che altro a garantire un salario dignitoso a chi oggi pur avendo un lavoro stabile e a tempo pieno percepisce una cifra insufficiente anche solo a pagarsi un affitto in un pese il cui costo della vita è tra i più elevati del pianeta. Nel paese, dicono le statistiche, almeno 340 mila lavoratori percepiscono un salario inferiore a quello minimo, soprattutto quelli occupati nei settori della pulizia, del turismo, del commercio, dei servizi alla persona.
Ma la campagna elettorale i padroni delle grandi catene del commercio e degli hotel l’hanno fatta a colpi di minacce: se aumenta il salario minimo ‘saremo costretti’ a licenziare migliaia di dipendenti per mantenere immutati i livelli di profitto. Come è andata a finire lo si sapeva già ieri all’ora di pranzo, quando i media hanno cominciato a diffondere i primi exit poll sul referendum…
Una parziale buona notizia però è arrivata da un altro quesito, quello che diceva no all’acquisto di 22 caccia da combattimento per una spesa complessiva di 2,5 miliardi di euro. I ‘no’ all’aquisto hanno vinto in 20 cantoni su 26 e con il 53,4% in totale. L’acquisto dei caccia Gripen dalla Svezia era stato approvato nel settembre scorso dal Parlamento federale, ma poi l’associazione ‘Per una Svizzera senza esercito” ha cominciato una campagna contraria allo spreco di risorse pubbliche sfociato nel referendum vinto ieri, che teoricamente obbliga l’esecutivo ad annullare l’operazione. Ma il governo ha affermato, commentando il risultato della consultazione di ieri, che nella sua flotta aerea militare ci sono dei vuoti da riempire e che ora studierà possibili soluzioni alternative.
Per la cronaca, ieri gli elettori svizzeri hanno detto si anche ad un altro quesito, quello che si proponeva di proibire che coloro che sono stati condannati per reati di pedofilia possano lavorare a contatto con bambini e minorenni in generale (asili, scuole, biblioteche, centri sportivi ecc). In questo caso la vittoria è stata più netta: il ‘si’ ha sbancato in tutti e 26 i cantoni e si è affermato con il 63,5% dei voti.
Da segnalare una atipica partecipazione al voto, del 56% degli aventi diritto, la più alta negli ultimi dieci anni.

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