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Libia sull’orlo del collasso. Guerra tra i signori della guerra

Nena News. Le premesse c’erano tutte: mancanza di strutture centrali forti capaci di mantenere il controllo di spinte centrifughe sempre più importanti; un Governo nazionale che non rispecchia né la composizione etnico-politica, né le aspettative della maggior parte della popolazione; un’economia che, pur essendo in via di diversificazione per far fronte agli attacchi ed alle conseguenti fluttuazioni di mercato, rimane debole e centrata su una sola materia prima, gli idrocarburi.

Il casus belli è, però, stata l’elezione di un nuovo premier, Ahmed Maiteeq, che avrebbe dovuto svolgere quel ruolo di guida che non era riuscito a ricoprire il suo predecessore, Ali Zeidan. In un Paese ormai vicino al fallimento della sua stessa essenza statuale, le speranze di trovare in Maiteeq l’uomo forte del cambiamento sono state, però, immediatamente disattese e la sua vicinanza alle compagini islamiste ha ulteriormente inasprito i rapporti tra le parti. Questo ha fatto si che alcune figure si ergessero a “difensori della Libia dagli estremisti islamici”, come affermato, all’inizio di quest’ultima escalation di violenze, dal portavoce di Khalifa Haftar, generale in pensione che, nel 2011, si pose alla guida della ribellione contro Muhammar Gheddafi.

Haftar non è, però, solo nella sua battaglia contro gli islamisti ed il Governo. Se all’ex-Generale vengono imputati gli scontri a Bengasi contro Ansar al Sharia e Brigate 17 febbraio anche in una logica secessionista, i combattenti di Zindan, strenui oppositori del Governo ufficiale ed attuali carcerieri del figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, sarebbero i diretti responsabili dell’attacco al Parlamento. Se a questo si aggiunge che, nonostante il Governo abbia accusato Haftar di essere il promotore di un vero e proprio colpo di stato ed abbia imposto una no-fly-zone su Bengasi, alcune delle truppe appartenenti al neonato “Esercito Nazionale Libico” del Generale portano le insegne governative, diventa evidente la gravità dell’attuale frangente.

A fronte di tutto questo si può affermare che la situazione libica, già di per sé drammatica, ha raggiunto in questi giorni un livello di instabilità e di violenza dal quale si potrà difficilmente tornare indietro senza dei mutamenti radicali dello status quo. Negli scorsi mesi molto si è parlato di possibile soluzione federale del Paese, ma quest’opzione potrebbe essere percorribile solo attraverso un solido Governo nazionale che veicoli una transizione controllata verso questo nuovo status e la divisione regionalista delle forze è solo una delle linee di spaccatura all’interno del Paese.

Pesa sul futuro della Libia, infatti, sia la contrapposizione tra ex alleati ed ex nemici di Gheddafi, quella tra islamisti e non e i contrasti interni ai diversi schieramenti. A questo si aggiunga che la Libia, dopo la caduta del colonnello nel 2011, ha assistito ad un aumento esponenziale della forbice tra molto ricchi e molto poveri e che la situazione futura non sembra destinata a migliorare nel breve periodo.

Nonostante questo, mentre le voci si rincorrono sul numero reale di morti e feriti negli scontri e non si riesce a definire con chiarezza quanti siano i membri del Parlamento rapiti a seguito dell’attacco, i Governi internazionali sembrano sminuire la portata di ciò che sta accadendo. In questa direzione si leggano le dichiarazioni pacate di Michael Mann, portavoce della responsabile della diplomazia europea Catherine Ashton, o quelle dell’ambasciatore italiano, Giuseppe Buccino Grimaldi, che, in merito alla presenza di molti imprenditori italiani alla fiera dell’edilizia Libya Build, nega che sia stato preso in considerazione alcun piano di evacuazione in quanto la situazione non lo necessiterebbe.

In realtà gli scontri e le violenze interne sono solo una parte delle possibili conseguenze dell’implosione del sistema economico e politico libico. A titolo d’esempio si osservi come, immediatamente dopo i primi scontri armati, concentrati perlopiù a Bengasi alla fine della settimana scorsa, la quotazione del petrolio sia cresciuta di circa 20 centesimi di dollaro in poche ore, dando prova della centralità della produzione libica per il mercato mondiale. Di conseguenza, un nuovo blocco delle esportazioni come quello contestuale all’attacco NATO o un rallentamento del business della ricostruzione edilizia, in questo caso rappresentato fisicamente da Libya Rebuild, non significherebbe solo un tracollo definitivo dell’economia libica, ma anche un ingente danno per il mercato internazionale in generale e per alcuni Paesi particolarmente attivi in Libia come l’Italia.

L’evoluzione degli eventi non è al momento prevedibile, ma possiamo affermare che, data la situazione attuale, l’integrità del Paese è stata poche volte in pericolo come in questi giorni.

* Nena-News.it

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