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Duri scontri a Istanbul e Ankara, la polizia spara ai manifestanti

Nuovi scontri sono scoppiati oggi tra polizia e manifestanti nel quartiere popolare di Okmeydanı, a Istanbul. Gli agenti in assetto antisommossa hanno attaccato con lacrimogeni e idranti i dimostranti di sinistra che gridavano slogan contro la responsabilità degli imprenditori e del governo liberal-islamista nella strage di Soma e per ricordare Berkin Elvan, il ragazzo di 15 anni morto a marzo dopo otto mesi di coma a causa di un candelotto lacrimogeno sparatogli in testa da un poliziotto la scorsa estate. Quando i manifestanti sono stati dispersi alcuni di loro hanno preso di mira un blindato con bottiglie molotov e sassi e a quel punto la polizia ha cominciato a sparare. 

Una ragazzo di 30 anni, Uğur Kurt, che si trovava nel cortile Della Cemevi del quartiere (luogo di culto della comunità Alevita) per assistere a un funerale, è stato ferito gravemente ed è rimasto a lungo sul selciato in stato d’incoscienza prima che un’ambulanza lo portasse in ospedale dove è attualmente ricoverato in gravissime condizioni. La Polizia si è giustificata affermando di aver sparato solo munizioni a salve ma evidentemente i proiettili esplosi dagli agenti erano veri visto che Uğur Kurt è stato ferito da un colpo alla testa.
Ieri forti scontri, anche in quel caso per denunciare le responsabilità governative nella strage che la scorsa settimana è costata la vita a 301 minatori nella miniera di Soma, sono scoppiati nella capitale Ankara dove la polizia turca è intervenuta con la forza, usando anche lacrimogeni e cannoni ad acqua, per disperdere una manifestazione di studenti dell’Università Tecnica del Medio Oriente (Odtu). Anche ieri si sono registrati alcuni feriti, per fortuna non gravi, e diversi giovani fermati.

Mentre la miniera dove il 13 maggio si è verificata la strage rimarrà chiusa a lungo a causa delle indagini avviate da un pool di magistrati nominati dal governo e dal Csm turco, a Soma l’attività mineraria è ripresa per ordine delle varie aziende ma tra le proteste dei sindacati che ieri hanno realizzato un sit in di fronte alla sede del governo. La stampa locale segnala che molti minatori si sono rifiutati di scendere di nuovo nei pozzi denunciando l’assoluta mancanza di sicurezza degli impianti estrattivi. Ma in tutta la regione l’unica realtà lavorativa è rappresentata dalle miniere di carbone e le aziende proprietarie possono così contare su un enorme potere di ricatto. L’azienda Soma Holding Company, che controlla la miniera di lignite dove è avvenuta la tragedia, ha rimesso in funzione gli altri due impianti estrattivi che possiede nella zona, ma il sindacato Maden-Is ha chiesto ai lavoratori di non scendere nelle gallerie fino a quando non verranno adeguatamente ispezionate e le misure di sicurezza finora violate non saranno garantite.
Sempre ieri un gruppo di minatori ha protestato davanti al governatore della regione di Manisa reclamando condizioni di lavoro migliori e in linea con gli standard europei e non sono mancate da parte dei minatori dure critiche al sindacato locale per il suo collateralismo alle imprese e il disinteresse dimostrato per le condizioni in cui sono costretti a lavorare e a vivere i minatori.
Mentre otto funzionari e dirigenti dell’azienda incriminata sono agli arresti accusati di negligenza e di omicidio colposo, è ancora introvabile il proprietario del consorzio Alp Gurkan, contro il quale è stato spiccato un ordine di cattura. Durante gli interrogatori Can Gurkan, figlio del padrone e presidente del consiglio d’amministrazione dell’azienda che sfrutta la miniera teatro della strage, ha tentato di scaricare tutte le responsabilità su Ramazan Dogru, il direttore generale della compagnia.
Da parte sua il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha promesso di far aumentare la frequenza delle ispezioni nelle miniere e di prendere tutte le misure necessarie all’aumento degli standard di sicurezza, ma al tempo stesso, con l’arroganza che lo contraddistingue, ha accusato coloro che hanno tacciato il governo di inadempienze e di negligenza di voler strumentalizzare il disastro a fini politici e ideologici.

Prima che le gallerie di Soma inghiottissero 301 lavoratori – circa 500 sono stati quelli estratti vivi dai pozzi – il maggior disastro di questo tipo in Turchia aveva provocato 263 morti in un incidente avvenuto nel 1992. Ma dal 1941 in poi, dicono le statistiche, sono ben 3000 i minatori morti e
ben 100 mila quelli rimasti feriti negli “incidenti” nelle miniere.
Ed ora un rapporto dell’Associazione degli Ingegneri Minerari denuncia che in Turchia sono attualmente 400 le miniere a serio rischio sicurezza. A lanciare l’allarme è stato l’ex presidente dell’associazione, Mehmet Torun, durante un congresso sull’estrazione del carbone nella provincia di Zonguldak sul Mar Nero, dove ha spiegato che ”ci sono 400 miniere pronte a esplodere in Turchia”. Riportano le agenzie di stampa che Erdogan Kaymakci, numero due del dipartimento di Ingegneria mineraria presso l’Università Bulent Ecevit, ha contestato il fatto che non sia stato fatto nulla per prevenire l’annunciato disastro di Soma mentre l’attuale presidente dell’Associazione degli ingegneri minerari, Ayhan Yuksel, ha sottolineato il rischio che creare impianti nucleari in Turchia comporta vista l’assoluta mancanza di controlli negli impianti di qualsiasi tipo. ”Il governo si sta imbarcando in una nuova avventura, quella degli impianti nucleari. Non è logico farlo prima di usare a pieno il nostro carbone”, ha detto ricordando il disastro nucleare di Fukushima in Giappone nel 2011.

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