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Thailandia: i militari arrestano 150 oppositori e impongono il coprifuoco

Si rafforza in Thailandia la morsa dei militari dopo il colpo di stato realizzato dall’esercito giovedì scorso. Ieri una manifestazione di oppositori al golpe realizzata nel centro della capitale del paese è stata dispersa dai soldati senza tanti complimenti.

Intanto l capo della giunta militare, il generale Prayuth Chan-ocha, si è attribuito la carica di primo ministro, mentre a gestire le attività correnti saranno i segretari permanenti di ciascun ministero che faranno le veci dei ministri fino a nuovo ordine oppure fino alla nascita di un nuovo esecutivo, con ogni probabilità nominato dal Senato.

Contrariamente all’ultimo golpe militare, il 19 settembre 2006, il coprifuoco è stato esteso anche al di fuori della capitale, su tutto il territorio nazionale.

Sono stati intanto liberati alcuni dei leader del partito di maggioranza Puea Thai e di quello d’opposizione – il Partito Democratico – arrestati giovedì in contemporanea con la proclamazione del colpo di stato insieme ai principali protagonisti della protesta contro il governo ora disciolto e delle cosiddette Camicie Rosse ad esso favorevoli. Questi, insieme a un numero imprecisato di personalità politiche legate alla maggioranza, inclusa l’ex premier Yingluck Shinawatra, fermate ieri quando si sono consegnati ai militari, si trovano sotto custodia in località ignote.

Anch’essi, come altri personaggi ancora in libertà e che rischiano l’arresto, fanno parte del gruppo di 150 esponenti del precedente regime ai quali la giunta golpista ha proibito di lasciare il paese. Le reti televisive sono state autorizzate a riprendere le trasmissioni, ma sotto una rigida censura in vigore anche per la carta stampata e i siti web.

Dopo le diplomazie e le organizzazioni internazionali ultima, ieri sera l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, anche i partner più fedeli sul piano politico ed economico hanno condannato il colpo di stato in Thailandia, chiedendo un veloce ritorno al governo civile.

Colpite dalla lunga crisi e ora anche dalla necessità di sospendere il lavoro notturno dato il coprifuoco, molte aziende straniere premono per un rapido ritorno alla normalità. Tra queste la Toyota – che in Thailandia produce 670.000 autoveicoli l’anno – si è detta costretta di chiudere i suoi tre impianti di assemblaggio, mentre la Honda a ridurre del 40% la sua produzione di 300.000 autovetture.

Mentre si è praticamente interrotto il flusso turistico da Cina e Taiwan, Singapore e Malaysia hanno avvertito i concittadini di un rischio più elevato per i viaggi nel Paese del Sorriso, Hong Kong ha bloccato tutti i viaggi di gruppo verso la Thailandia. L’Indonesia – maggiore paese dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico di cui anche la Thailandia fa parte – sta seguendo l’evoluzione della situazione “con profonda preoccupazione”. Jakarta ha fatto sapere che chiederà una posizione comune di tutti i paesi-membri, ricordando che la carta costitutiva dell’associazione contempla “l’adesione a principi democratici e governo costituzionale”

Intanto, come primo gesto concreto di governo, la giunta ha ordinato alle autorità finanziarie di reperire gli 80 miliardi di baht (circa 1,8 miliardi di euro) da mesi non pagati ai risicoltori per il prodotto consegnato ai magazzini statali secondo il fallimentare piano risicolo nazionale gestito dal disciolto governo. Una mossa che andrà a recuperare fondi non derivati dalle (scarse) vendite del prodotto ma da altre voci di bilancio. Un atto di giustizia che sarà anche una mano tesa verso gli agricoltori, tra i più fedeli sostenitori dell’ex esecutivo guidato da Yingluck Shinawatra.

L’intervento militare è stato salutato dagli anti-governativi di parte nazionalista e filo-monarchica come un successo della loro linea che mirava alla caduta dell’esecutivo guidato fino a due settimane fa da Yingluck Shinawatra. Ma se al momento la reazione dei filo-governativi delle Camicie Rosse, privati di parte della loro leadership, è stata nulla, è difficile pensare che un movimento di massa organizzato e reduce da quasi un ventennio di mobilitazione, assai radicato nelle provincie a Nord e a Est di Bangkok paese, possa semplicemente svanire.

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