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Samba e martello: Iran, la Repubblica islamica del male

Quarta apparizione ai mondiali per i piccoli ayatollah. Nel 1998 la storica vittoria contro gli Stati Uniti

La volta scorsa, in Sudafrica, c’era la Corea del Nord. In mezzo ai potentati del pallone, c’è sempre la squadra che si gioca qualcosa in più di una partita. Una volta l’Unione Sovietica e la Yugoslavia schieravano formazioni di tutto rispetto, temutissime e rispettate. Adesso, la questione si è ridotta parecchio. I coreani, dopo un pregevole esordio contro il Brasile (persero 2-1, ma fecero sudare oltremodo i presuntuosi carioca) affondarono nelle successive due partite e tornarono a casa senza troppa gloria. I media occidentali si scatenarono: si parlò di lavori forzati per i giocatori, di pena di morte per l’allenatore, gogne in piazza, purghe ed epurazioni. Esagerazioni, ma si sa come vanno certe cose. In Brasile, la squadra che dovrà rappresentare il Male del pianeta terra è l’Iran.
Non si tratta di una novità per i mondiali, a dirla tutta: la nazionale in verde può già contare su un’esperienza maturata in altre tre occasioni: Argentina 1978 (fuori al primo turno, un pareggio e due sconfitte, due gol fatti, otto subiti), Francia 1998 (fuori al primo turno, una vittoria e due sconfitte, due gol fatti, quattro subiti) e Germania 2006 (fuori al primo turno, un pareggio e due sconfitte, due gol fatti, sei subiti). Un materasso non troppo morbido: ai mondiali non si va soltanto per riempire gli almanacchi.
La storia ha già bussato alla porta una volta, da queste parti. Era il 21 giugno del 1998, e la nazionale iraniana si impose con il punteggio di 2 a 1 contro gli Stati Uniti. La Fifa aveva indetto, per quella data, la giornata del fair play. Un modo come un altro per sciacquarsi la coscienza e cercare di stemperare gli animi, con tanto di fotografie tutti insieme all’inizio del match: volemose bene. Gli americani partirono con il piede sull’acceleratore, ma la loro foga imperialista finì per due volte contro i pali della porta difesa dal mitologico Abedzadeh. Al 40′ Estili di testa porta in vantaggio l’Iran. Il secondo tempo si apre con gli yankee in versione ‘sbarco in Normandia’ e gli iraniani tutti compressi nella propria metà campo, a trasformare il Saint Gerland di Lione in un piccolo Vietnam. A cinque minuti dalla fine Mahdavikia spazza via ogni speranza di rimonta, concludendo in rete un clamoroso contropiede. Storditi, gli Usa trovano la forza per segnare con McBride, ma si era ormai fatto troppo tardi. Da allora, sotto i ponti di acqua ne è passata parecchia, gli americani hanno imparato a giocare a pallone (più o meno) e l’Iran è rimasto un po’ fermo al palo. In Brasile, gli i piccoli ayatollah ci vanno con Carlos Queiroz in panchina. Qualcuno se lo ricorderà come storico secondo di sir Alex Ferguson al Manchester United, molti altri non potranno che associarlo al disastroso Real Madrid della stagione 2003/2004.
Queiroz raccolse, incautamente, il timone lasciato libero da Vicente del Bosque e con una squadra imbottita di fenomeni (Zidane, Ronaldo, Figo, Beckham) riuscì comunque ad arrivare quarto in classifica. Qualche anno dopo, Queiroz siede sulla panchina della nazionale portoghese. Anche qui: nessun risultato e la sua immagine resta ancorata a un pirotecnico pareggio (4-4) ottenuto dai suoi contro Cipro. Difficile osare immaginare cosa potrà accadere con l’Iran, che non è il Portogallo né il Real Madrid. Da tenere d’occhio, comunque, c’è Steven Beitashour, classe 1987, nato negli Stati Uniti da genitori iraniani. Una volta, in realtà, dagli americani è stato pure convocato, ma è rimasto in panchina. Adesso ai mondiali ci va con l’Iran. Difensore del Vancouver, dall’altra parte dell’Atlantico lo descrivono come un tipo tosto. Altri giocatori interessanti sono il capitano Javad Nekounman – che gioca in Kuwait –, la punta Ashkan Dejagah (che nell’ultima stagione ha giocato in Premier League con il Fulham, tre gol fatti in trentasei apparizioni), l’altro attaccante Reza Ghoochannejhad (anche lui gioca in Inghilterra, con il Charlton, un gol in quindici presenze) e il portiere Daniel Davari, che para in Bundesliga, nell’Eintracht Braunschwig, la squadra che fino a poco tempo fa era sponsorizzata dalla Jagermeister. Prosit.
In tutta onestà, per il momento, non si vede come il piccolo Iran possa uscire vivo da un girone con Nigeria, Argentina e Bosnia. Ma poi, va’ a sapere, l’impero del male ha sempre in serbo qualche sorpresa quando si arriva al dunque. Anche quando è una repubblica islamica. Del male, naturalmente.

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