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Iraq: l’esercito si sfalda, jihadisti occupano le raffinerie di petrolio

In Iraq gli aiuti occidentali al governo non arrivano e nel frattempo i miliziani dell’Isil – Stato Islamico dell’Iraq e del Levante – continuano ad avanzare nelle regioni centro-settentrionali del paese e ad occupare nuove importanti posizioni.

Ieri alcuni caccia iracheni hanno effettuato nuovi bombardamenti su Tikrit, città natale di Saddam Hussein caduta nelle mani dell’Isil alcuni giorni fa insieme a Mosul, ed hanno ucciso 7 persone (40 membri dell’Isis secondo la tv di Stato).  Ma oggi i miliziani sunniti hanno annunciato di avere preso il controllo della principale raffineria petrolifera del paese, quella di Baiji, nella provincia di Salahaddin (a nord di Baghdad) che produce un terzo del fabbisogno di petrolio raffinato dell’Iraq. La raffineria, che era rimasta sotto assedio per ben 10 giorni è stata conquistata dopo aspri combattimenti.

Due funzionari giordani hanno intanto riferito che la frontiera con l’Iraq è stata chiusa e una fonte delle forze di sicurezza di Amman ha confermato che unità dell’esercito sono state poste in stato di allerta e sono state schierate lungo il confine per affrontare «ogni potenziale minaccia alla sicurezza». Già ieri i gruppi armati legati ad Al Qaeda avevano assunto il controllo di alcuni dei principali valichi alla frontiera con la Giordania e la Siria nella provincia occidentale di Al Anbar e avevano occupato quattro cittadine nella stessa regione, dopo che i soldati mandati a difenderle si sono ritirati quasi senza sparare un colpo. 
«L’Isis ha preso il controllo di Rutba e Qaim senza dover sparare un colpo», ha riferito una fonte del comando della polizia della provincia di Anbar. «I capi della polizia e un certo numero di ufficiali dell’esercito hanno deciso, dopo un incontro con i comandanti dell’Isis, di arrendersi senza resistere e cedendo le armi. A loro e alle loro famiglie é stato concesso di sfollare in abiti civili senza subire conseguenze». Gli estremisti sunniti si sono impadroniti dei quartier generali della polizia e dell’esercito a Rutba ed hanno portato via armi pesanti, carri armati e mezzi blindati, indirizzandoli verso centri di raccolta nelle aree occidentali.

Secondo Qassem Atta, portavoce per gli affari di sicurezza del premier iracheno «centinaia di soldati sono stati decapitati e impiccati a Salahaddin, Ninive, Dilaya, Kirkuk e nelle zone dove si trovano i jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil)». E sarebbero almeno 69 i detenuti iracheni rimasti uccisi in un attacco avvenuto ad Hilla – capoluogo della provincia di Babel, a sud di Baghdad – al convoglio che li trasportava. Nella sparatoria sarebbero rimasti uccisi anche un poliziotto e otto miliziani sunniti. 

Gli unici a scontrarsi con un certo successo e con una certa convinzione con le milizie qaediste sono stati finora i membri delle forze di sicurezza agli ordini del governo autonomo curdo e i volontari delle forze sciite, molti dei quali arruolatisi negli ultimi giorni per resistere all’avanzata dell’Isil o tornati in patria dal fronte siriano.

La tenuta dell’esercito regolare iracheno è sempre più dubbia e un resoconto recente dei consiglieri militari inviati dagli Stati Uniti nel paese ha dipinto un quadro assai critico delle condizioni delle forze armate teoricamente agli ordini del premier Al Maliki. Secondo i funzionari di Washington l’esercito sarebbe in profonda crisi, senza equipaggiamento e uomini, con un incremento delle diserzioni e degli episodi di disobbedienza. Secondo i consiglieri militari di Obama oltre ad essere stato colpito da circa 10.000 diserzioni, l’esercito regolare sarebbe sull’orlo di un “collasso psicologico”. In queste condizioni è impensabile che l’esercito possa sferrare una seria controffensiva contro l’Isil nel tentativo di riconquistare alcune delle regioni cadute nelle mani degli estremisti islamici. E’ anche dubbia quindi l’utilità a breve termine dei circa 300 istruttori militari che Washington sta inviando a Baghdad per addestrare le forze armate governative.

Se da una parte presidente Obama ancora ieri ha ribadito che l’Isil minaccia la stabilità non solo dell’Iraq ma anche della Giordania, non sembra proprio che il governo degli Stati Uniti voglia intervenire seriamente per impedire che le milizie sunnite raggiungano Baghdad.
Ieri il segretario di stato John Kerry ha iniziato i suoi colloqui con il primo ministro iracheno Nouri al Maliki ed altri esponenti politici del paese durante una visita a sorpresa a Baghdad. Durante la quale Kerry ha promesso un non meglio precisato sostegno «intenso e duraturo» alle forze di sicurezza irachene, ma esercitando forti pressioni su Al Maliki affinché coinvolga anche i sunniti nella gestione del paese nell’ambito di un nuovo governo di ‘unità nazionale’ che di fatto dovrebbe inglobare alcune delle forze che parteggiano per i miliziani dell’Isil.

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