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Iraq/Siria: patto tra le due Al Qaeda, jihadisti sempre più forti

Dopo un anno di aperta rivalità, l’ala siriana di Al Qaeda e i miliziani qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante hanno deciso di unirsi, almeno temporaneamente. La riconciliazione, dopo mesi di aspri scontri, combattimenti e fatwe reciproche, sarebbe avvenuta in una località a ridosso del confine siro-iracheno. L’accordo sarebbe stato raggiunto ad Abukamal, località a pochi km dal valico frontaliero iracheno di al Qaim, tra la Jabhat al Nusra, gruppo armato operante in Siria che riconosce da sempre l’autorità centrale del leader di Al Qaeda, Ayman Zawahiri, e lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis o Isil), che aveva invece rifiutato finora di sottomettersi all’autorità del successore di Bin Laden. 

Entrambe le organizzazioni esprimono un’ideologia affine a quella di Al Qaeda ma finora si erano combattute a vicenda, con i primi che hanno addirittura accusato i secondi di servire gli interessi di Assad. Secondo osservatori locali, l’accordo di Abukamal sembra essere tattico e temporaneo, e mira per il momento a saldare in un unico corridoio qaedista il fronte di guerra a ridosso della porosa frontiera contro le forze lealiste irachene e siriane. In altre regioni della Siria, fanno notare alcuni analisti, al Nusra e l’Isis continueranno a farsi la guerra per il controllo delle regioni occupate.

Intanto i jihadisti sunniti, in particolare quelli dell’Isis, si starebbero rapidamente rafforzando, impossessandosi di armi sofisticate nelle aree di cui man mano prendono il controllo in Iraq ed anche di ingenti fondi, rapinati e sequestrati nelle banche delle località occupate, che servirebbero a finanziare un ulteriore acquisto di armi in particolare dalle petromonarchie che non hanno mai nascosto il proprio sostegno al network sunnita operante contro Baghdad, Damasco e Teheran. Oltretutto nelle fila delle milizia qaediste starebbero entrando centinaia di nuovi combattenti, reclutati nelle aree a maggioranza sunnita conquistate recentemente nel centro-nord dell’Iraq, dove la popolazione sta accogliendo gli estremisti come liberatori dall’oppressione (vera o presunta che sia poco importa) del governo sciita guidato da Al Maliki. Anche molti esponenti del passato regime iracheno e dirigenti del Baath di Saddam Hussein e delle sue organizzazioni militari starebbero coadiuvando l’Isis in nome di una riscossa sunnita contro il dominio sciita scaturito dall’invasione e dall’occupazione statunitense del paese. Secondo un funzionario dell’intelligence di Washington – ora combattuta tra il sostegno ai sunniti in funzione anti Damasco/Iran/Hezbollah e il timore che le forze qaediste diventino troppo forti e quindi incontrollabili – le capacità militari dell’Isil “sono migliorate sensibilmente quando il gruppo ha avuto accesso alle armi sofisticate presenti nelle basi siriane e irachene che ha invaso”. La presa delle banche di Mosul e Tikrit ha garantito anche grande liquidità all’Isil, “ma probabilmente qualcosa come milioni, non centinaia di milioni di dollari”, come riportato nelle ultime settimane. L’Isil inoltre si finanzia attraverso attività criminali, come rapimenti ed estorsioni, e il denaro garantito da donatori “è poca cosa rispetto al loro autofinanziamento” dice sempre la fonte riportata dal Washington Post. Secondo il funzionario Usa, l’Isil conterebbe su almeno 10.000 combattenti, di cui tra i 3.000 e i 5.000 di nazionalità straniera, per la maggior parte turchi ma anche islamisti provenienti da decine di paesi occidentali.
Mentre Washington evita accuratamente di intervenire – per ora – e l’iniziativa l’hanno presa la Siria e l’Iran, l’Isil non intende fermarsi: in un’intervista alla BBC un miliziano sunnita ha confermato la continuazione della marcia su Baghdad: «Arriveremo alla capitale in meno di un mese».

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