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Gaza: quinto giorno di strage, catastrofe sanitaria e umanitaria

Nuova, ennesima notte di bombardamenti a tappeto da parte dell’aviazione e della marina israeliane sulla popolazione della martoriata Striscia di Gaza, proseguita anche durante le ultime ore.
Mentre scriviamo, dopo le nuove vittime provocate dagli ultimi attacchi, il bilancio provvisorio dei morti è salito a 127, di quasi due terzi civili, e tra questi più di 20 bambini. Nelle ultime ore i bombardamenti hanno preso di mira un orfanotrofio a Jabalya – tre le bambine uccise – un centro di assistenza ai disabili a Beit Lahia – due le donne rimaste uccise insieme mentre un’infermiera è rimasta gravemente ferita – mentre un drone ha sparato un razzo in mezzo alla folla nel quartiere di Shaykh Radwan a Gaza City uccidendo 6 persone, tra cui due nipoti dell’ex premier di Gaza Ismail Haniye. 

Ma oltre al tragico bilancio di morti e feriti sta peggiorando di ora in ora anche la già terribile situazione sanitaria e umanitaria nell’enclava stretta da un assedio che dura ormai da molti anni e dove le condizioni di vita sono già normalmente insopportabili per i suoi numerosi abitanti.

Le centrali elettriche sono state bombardate e danneggiate, e il 75% della città di Gaza è senza elettricità così come molte altre località della Striscia.
A rendere la situazione ancora più grave il fatto che alcune centinaia di migliaia di persone sono senz’acqua potabile, mentre almeno 2000 abitazioni sarebbero già state danneggiate o completamente distrutte dai raid dal cielo e dal mare. I pochi funzionari dell’Onu ancora operativi nella zona sottoposta alla punizione collettiva israeliana hanno riferito di almeno 32 scuole colpite da bombardamenti.
“Si sta lottando perché i servizi facciano fronte alle necessità, ma la mancanza di sicurezza rende difficile portare gli aiuti”, ha denunciato la responsabile dell’ufficio Mediterraneo di Oxfam Italia, Umiliana Grifoni, secondo cui le infrastrutture basilari che garantiscono acqua e servizi sanitari sono state distrutte o gravemente danneggiate dai bombardamenti israeliani. A causa degli attacchi in corso è stato necessario interrompere il lavoro di potabilizzazione dell’acqua, fatto gravissimo se si tiene conto che il 90% dell’acqua a Gaza non è più potabile. Il rifornimento d’acqua per 100mila persone presso il campo profughi di Beach è stato interrotto, perché una tubatura e due pozzi a Gaza City sono stati colpiti e distrutti. “Le pompe idriche e gli impianti di depurazione potrebbero fermarsi entro pochi giorni a causa della grave mancanza di combustibile”, ha aggiunto Umiliana Grifoni. Inoltre gli impianti di depurazione sono stati gravemente danneggiati e 25 milioni di litri di liquami si sono riversati in mare, incrementando la probabilità di malattie causate dalla mancanza di igiene.

E’ soprattutto la situazione sanitaria a destare allarme. L’Organizzazione Mondiale della Sanità segnala la grave carenza nei serivizi sanitari palestinesi. L’insufficienza di forniture mediche e di caburante per i generatori degli ospedali, rendono le strutture sanitarie della Striscia di Gaza inadatte a gestire l’ondata di feriti, mutilati e invalidi causata dall’offensiva aerea israeliana.
Anche perché dall’inizio dell’ennesima operazione di punizione collettiva della popolazione palestinese i bombardamenti israeliani hanno preso di mira ambulatori e ospedali. Come ieri, quando l’ospedale “Wafa” di Shujayeh è stato oggetto del lancio di alcuni razzi di avvertimento che i caccia israeliani sparano in genere qualche tempo prima del bombardamento vero e proprio dell’obiettivo. Alcuni attivisti stranieri dell’International Solidarity Movement che presidiano la struttura sanitaria hanno denunciato che comunque i ‘razzi di avvertimento’ hanno già gravemente danneggiato il quarto piano dell’ospedale.
Tre giorni fa, l’European Gaza Hospital di Khan Younis, nel sud della Striscia, ha subito danni durante un attacco aereo e un infermiere è stato ferito. Nonostante il barbaro perpetrarsi dei raid su case, famiglie e bambini, nei pressi dell’ospedale, il personale sanitario continua a lavorare. Divisi in tre gruppi, medici e infermieri, coprono le 24 ore.
Un altro ospedale supportato da Oxfam, che finora ha curato più di 50 feriti dalle bombe sganciate dagli attacchi aerei, denuncia che presto finirà il carburante indispensabile per realizzare le operazioni. Il direttore medico dell’ospedale, Ahmed Manna, ha detto ieri a Oxfam: “Circa il 40% dei feriti che abbiamo curato sono bambini e molte altre sono donne incinte. Il nostro staff medico sta lavorando con turni di 24 ore per sopperire alle necessità. E’ pericoloso tornare a casa. Se il carburante non sarà disponibile in pochi giorni, l’ospedale dovrà chiudere molti dei suoi servizi a 360mila persone a Gaza. Questo è l’unico centro del nord di Gaza con un’unità ostetrica specializzata per le donne incinte”.
Una clinica mobile supportata da Oxfam, che fornisce cure essenziali a diverse migliaia di famiglie nel nord di Gaza, ieri ha dovuto sospendere tutti i servizi perché le strade sono diventate troppo pericolose. Un centro medico gestito da un partner di Oxfam a Beit Hanoun, specializzato in cure pre e post natali, è stato invece gravemente danneggiato ed è ora fuori uso. 
L’Organizzazione Mondiale della Sanità da parte sua denuncia che finora il 23% dei feriti erano bambini, che almeno 250 palestinesi non hanno la possibilità di ricevere cure mediche adeguate, per la mancanza assoluta di letti e barelle nei centri di pronto soccorso. Che mancano farmaci di emergenza, antibiotici e antidolorifici, materiale monouso e materiale sterile. Mancano guanti, cateteri urinari, punti di sutura e attrezzature mediche diagnostiche. Per non parlare della mancanza di sangue. 
E la chiusura da parte del regime militare egiziani dei valichi con Gaza aumenta la drammaticità di quanto sta avvenendo nel lager palestinese a cielo aperto. Da quando, giovedì, le autorità egiziane hanno teoricamente aperto il valico di Rafah, dopo estenuanti pratiche burocratiche, in realtà solo 11 pazienti con ferite gravi hanno avuto il permesso di attraversare il confine con l’Egitto, poi chiuso nuovamente ieri e riaperto di nuovo questa mattina per far però passare solo chi aveva il passaporto egiziano o di altri paesi. Almeno questa mattina il governo del Cairo ha permesso il passaggio di una certa quantità di aiuti umanitari. Una goccia nel mare…

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