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Cuba e i golpisti 2.0 di Barack Obama

La storia delle relazioni tra Stati Uniti e Cuba è letteralmente costellata di tentativi di rovesciare con la forza il governo socialista dell’Avana e di assassinare il leader della rivoluzione Fidel Castro (tuttora vivo e vegeto e proprio oggi autore di uno splendido j’accuse nei confronti del terrorismo di stato israeliano e delle complicità statunitensi con il massacro a Gaza). 

Una storia lunga quanto la stessa rivoluzione cubana, dalla Baia dei Porci in poi. Migliaia di episodi, da quelli più noti a quelli minori, che hanno alimentato anche una vasta letteratura non solo storiografica e scientifica ma anche ‘leggera’, diventando in alcuni casi spunto per intere collezioni di libri gialli o di fantapolitica. Una notorietà del tema che però non ha evitato, presso il grande pubblico, che migliaia di morti e feriti causati durante gli ultimi decenni dal terrorismo di stato statunitense contro Cuba e il suo popolo venissero occultati, privilegiando il dato folkloristico della questione e nascondendo il risvolto criminale della vicenda.
In molti avranno anche pensato che, scomparsi i presidenti repubblicani più trinariciuti e guerrafondai, e venuto meno il “nemico numero uno” degli Stati Uniti Fidel Castro, dimessosi per questioni di salute, la macchina statunitense avesse cambiato metodi e priorità, mettendo finalmente fine ad attentati, omicidi, bioterrorismo e provocazioni varie. Ma il premio Nobel per la Pace (!) Barack Obama non ha affatto cambiato metodi nei confronti di Cuba, e accanto all’embargo pluridecennale, all’isolamento internazionale e ad una costosa quanto inutile campagna di intossicazione mediatica ai danni dell’isola ha mantenuto intatte le tattiche di aggressione già utilizzate dai suoi predecessori.
A darne conto è stata nei giorni scorsi, con molta nonchalance e un’incredibile faccia tosta, una delle agenzie di stampa internazionali più influenti, la Associated Press. Secondo quanto riferisce l’Ap, per anni alcune decine di giovani latino americani provenienti da diversi paesi sono stati inviati segretamente a Cuba dall’amministrazione Obama per fomentare una sorta di rivolta giovanile contro il governo che ne causasse il rovesciamento. Il programma risalirebbe all’ottobre del 2009 e sarebbe andato avanti a lungo, anche mentre teoricamente l’amministrazione statunitense realizzava alcune timidissime ‘aperture’ pubbliche al governo cubano.
In base ad un progetto dell’Usaid (l’agenzia Usa per lo sviluppo internazionale impegnata in diversi programmi di beneficienza e, non è un segreto, strumento diretto dei servizi segreti di Washington), giovani reclutati in Venezuela, in Costa Rica e in Perù sarebbero stati inviati nell’isola caraibica con l’obiettivo di destabilizzarne il governo e le istituzioni. I giovani avrebbero lavorato sotto copertura, spacciandosi per turisti o per cooperanti, e avrebbero tentato di creare dei gruppi informali di dissidenti e di attivisti contrari al regime socialista. In almeno un caso gli agenti assoldati dalla Casa Bianca si sarebbero spacciati per operatori di un’associazione per la prevenzione dell’Hiv impegnati in un programma noto con il nome di “The perfect excuse” (La scusa perfetta).
Nel rivelare la vicenda, che non sembra essere terminata molto bene per Washington, l’Associated Press descrive gli agitatori in questione come inesperti e dilettanteschi, tentando così di sminuire la gravità di quanto accaduto a partire dal fatto che evidentemente lo stratagemma non ha avuto alcun successo. Tutto sarebbe saltato quanto le autorità cubane hanno fiutato la trappola, cominciando a interrogare gli agenti che, sempre secondo l’Ap, sarebbero stati immediatamente scaricati dal governo statunitense. «Anche se non c’è mai la certezza assoluta, sappiate che le autorità cubane non cercheranno di farvi del male, solo di spaventarvi» si legge nel rapporto riservato ottenuto dalla Associated Press e relativo alle “direttive” date ai giovani agitatori sparpagliati a Cuba dai servizi statunitensi in cambio di un compenso di 5,41 dollari all’ora. Un rapporto che smentisce anni di propaganda anticastrista sulla presunta ferocia dei servizi di sicurezza cubani.

 Secondo quanto riferito dall’Associated Press, l’Usaid e l’azienda che gestiva il programma, la Creative Associates International, sono andati avanti nonostante i funzionari statunitensi dissero loro di prendere in considerazione la sospensione dei viaggi a Cuba dopo l’arresto dell’americano Alan Gross, un collaboratore dell’Usaid fermato all’Avana mentre distribuiva materiale elettronico di comunicazione ad alcuni componenti della comunità ebraica locale e poi condannato a 15 anni di prigione per spionaggio.

Le nuove rivelazioni sul programma dell’Usaid giungono pochi mesi dopo che la Casa Bianca si è ritrovata in imbarazzo quando saltò fuori che l’agenzia aveva segretamente finanziato negli anni scorsi una sorta di “Twitter cubano”, noto con il nome di “ZunZero”, anche in questo caso con l’obiettivo di fomentare l’opposizione soprattutto giovanile contro il governo dell’Avana.
La prossima volta che leggete di rivoluzioni pilotate in giro per il mondo e di manifestanti sbucati fuori dal nulla e pieni di soldi, di agganci internazionali e di strumenti tecnologici altrimenti introvabili dedicate qualche minuto in più alla notizia. Potrebbe trattarsi di una bufala o dell’esagerazione di qualche sito web a caccia di click. Ma potrebbe anche rivelarsi un’utile lettura. Anche perché non sempre gli infiltrati manovrati da Washington soffrono di acne giovanile e risultano così inetti come nella vicenda descritta dall’AP. Quelli all’opera a Kiev e a Caracas nei mesi scorsi erano assai meno rassicuranti e assai più pericolosi.

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