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Israele caldeggia uno Stato kurdo indipendente?

Nella lotta di tutti contro tutti nel Medio Oriente reso “terra di nessuno”, di repentini cambi di alleanze e di dominanza della logica per cui il nemico del mio nemico e mio amico, colpisce un articolo di Moshè Dan sul Jerusalem Post, il principale giornale israeliano, nel quale si caldeggia apertamente la funzione “stabilizzante” per il Medio Oriente di uno Stato Kurdo indipendente. Certo gli interessi israeliani lo vedono soprattutto in funzione anti—iraniana, anti-siriana, anti-turca e, curiosamente, anche anti-Russia.

“Un forte stato curdo sarebbe un baluardo contro le minacce iraniane. Contribuirebbe a contenere la Russia nella regione del Mar Caspio e del Mar Nero e i talebani in Afghanistan. E affrancherebbe l’Europa dalla sua dipendenza energetica dalle fonti russe. Rappresenterebbe una forza contro gli estremisti islamici: jihadisti, islamisti, Fratelli Musulmani ecc.” scrive Moshè Dann. Ed ancora “Un forte stato curdo con istituzioni democratiche costituirebbe un fattore di stabilità per tutta la regione. La divisione della Siria secondo linee etnico-religiose (curdi/sunniti/alawiti) darebbe ad ogni gruppo confini difendibili e allevierebbe la crisi umanitaria in Siria, almeno temporaneamente. In questo modo uno stato curdo indipendente contribuirebbe a contenere, ridurre e forse a porre fine allo spargimento di sangue che vi si consuma. Lo stesso in Iraq. Permettere ai curdi in Turchia l’esercizio dell’autodeterminazione, il riconoscimento e l’indipendenza tornerebbe a vantaggio della stessa Turchia, oltreché degli interessi internazionali: le risorse potrebbero essere reindirizzate nella costruzione di una forte nazione turca”.

Appare dunque curiosa ma non sorprendente questa attenzione di Tel Aviv verso i kurdi, o meglio una parte di kurdi. Storicamente sono noti i forti legami tra Israele e i kurdi in Iraq, diventati ancora più solidi da quanto l’enclave curda nel nord del paese ha potuto ususfuire prima della No Fly Zone statunitense dopo la prima guerra del Golfo e poi di una indipendenza de facto dopo la caduta di Sadam Hussein e la disgregazione dell’Iraq tra regioni sciite, sunnite e curde. Allo stesso modo Israele guarda con favore i gruppi curdi in Iran che si oppongono alle autorità di Teheran. Più problematica appare oggi l’attenzione sui curdi che in Siria stanno combattendo contro i miliziani jihadisti ma che si stanno anche ricavando/conquistando il proprio spazio territoriale. Molto più sfumato poi è il favore con cui si guarda ai curdi in Turchia (il Pkk). Oggi c’è meno ostilità perché la Turchia non è più un alleato di Israele come negli anni scorsi (anche se le relazioni e la cooperazione non sono state affatto interrotte).

Non è mistero che nei decenni scorsi, Israele abbia guardato sempre con attenzione e cercato strette relazioni con tutti i paesi e le comunità “non arabe” del Medio Oriente in funziona anti-araba: dalla Turchia all’Iran, dai maroniti in Libano ai kurdi. La balcanizzazione degli stati arabi è stata nelle corde strategiche di Tel Aviv. Lo stratega israeliano Oled Ynon negli anni Ottanta auspicava esplicitamente la divisione dell’Iraq in tre cantoni: sunniti, sciiti e curdi. I fatti sembrano essere andati esattamente in quella direzione.

E’ chiaro che dentro questa strategia e con questo scenario, la balcanizzazione degli stati arabi in Medio Oriente riceverebbe un nuovo forte impulso. Ma l’interesse strumentale di Israele per uno Stato kurdo indipendente (sicuramente in antagonismo ai suoi nemici) non può essere la lente deformata attraverso cui affrontare o negare il diritto all’autodeterminazione del popolo kurdo, è solo uno dei fattori in campo in un contesto in cui i parametri stanno saltando tutti in nome della “destabilizzazione creativa” messa in campo dall’imperialismo Usa ed europeo e da Israele in Medio Oriente. Incluso l’inerzia o i cannoneggiamenti “mirati” sulle truppe siriane mentre le strategiche alture del Golan (parte del quale occupato da Israele) venivano occupate dai miliziani dell’Isis impegnati nei combattimenti contro i soldati siriani.

L’articolo del Jerusalem Post

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