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Palestina. Quando la resistenza diventa identità

Ecco un testo redatto da Louay Odeh, ex prigioniero politico palestinese, con alle spalle dieci anni di carcere a causa della sua resistenza all’occupazione. Originario di Gerusalemme, è stato condannato a ventotto anni di reclusione dall’entità sionista, ma è stato liberato durante uno scambio di prigionieri nel 2011, quando il soldato israeliano Gilad Shalit, prigioniero della resistenza, è stato consegnato alla Croce Rossa in cambio di 1027 prigionieri palestinesi. Questa liberazione, per lui come per tanti altri, è stata incompleta a causa delle condizioni imposte dagli israeliani che gli hanno negato il diritto di tornare a casa espellendolo verso Gaza, dove ha vissuto fino al 2013.

“Il profondo sostegno alla resistenza espresso dal popolo palestinese di Gaza è innegabilmente il più grande dai tempi della prima Intifada, venticinque anni fa”, mi ha detto uno dei miei amici di Gaza che è responsabile di un centro diventato rifugio per le decine di migliaia di famiglie ritrovatisi senza casa dall’inizio dell’offensiva israeliana su Gaza.

Non dobbiamo stupirci del chiaro sostegno popolare alla resistenza così come il suo appello a continuare la lotta finché le loro rivendicazioni non saranno soddisfatte, così come la totale volontà del popolo di pagare il prezzo necessario, qualunque esso sia. Non si tratta di una questione legata a un’appartenenza politica: la resistenza è diventata parte integrante della nostra identità geografica. È difficile trovare a Gaza qualcuno che si opponga alla resistenza, qualunque sia la sua appartenenza politica. Non è nemmeno il risultato dell’adozione di un programma politico unitario o di una strategia comune. È il risultato di una coscienza generale che il nostro popolo a Gaza ha acquisito con l’esperienza.

Ogni persona a Gaza è diventata più esperta del più saggio tra i militari e politici su questa terra. Ogni persona a Gaza riconosce che non esistano più altre opzioni. Sanno che non potranno credere a un altro progetto al di fuori della resistenza che è l’unica cosa capace di offrirgli una vita degna. Questa convinzione è sorta dopo hanno perso fiducia nel cosiddetto “processo di pace” e in tutte le persone che lo rappresentano. Hanno inoltre perso fiducia nella solidarietà internazionale, nelle organizzazioni internazionali e nelle loro agende. Più di tutto, hanno perso fiducia nei governi arabi che non hanno mai smesso di sfruttare la loro causa per servire i propri interessi.

Il nostro popolo palestinese a Gaza ha pagato con il suo sangue e i suoi anni, in condizioni di vita insopportabili, sotto un assedio soffocante, prima di raggiungere questi risultati. Nessuno ha cercato di aprire una frontiera o di offrirgli l’accesso a necessità vitali quali acqua, elettricità e la libertà di movimento. Numerosi analisti politici laureati nelle università più prestigiose ed esperti politici del mondo intero hanno tentato di comprendere Gaza e la relazione armoniosa fra il suo popolo e la sua resistenza. E hanno fallito, poiché Gaza non risponde a nessuna equazione e nessuna regola politica, sociale o economica è applicabile a Gaza in ragione della sua singolarità.

A Gaza è possibile trovare dei membri di Fatah che si oppongono ai loro leader a Ramallah e che chiamano alla resistenza. A Gaza troverete dei musulmani e dei cristiani, dei poveri e dei ricchi, dei comunisti e degli islamisti, tutti in piedi, mano nella mano al fianco della resistenza, con una sola speranza a unirli: la vittoria della resistenza.

Gaza che celebra la sua resistenza, mente sanguina, è unica al mondo. Persino le leggi della natura, come l’alba e il tramonto, non si possono applicare alla vita a Gaza. Laggiù, la vita si è organizzata in funzione delle sospensioni d’elettricità. Per esempio, la mattinata può cominciare alle dieci di sera e sparire quando si alza il sole. Inoltre, ed è solamente il caso a Gaza, una macchina può essere venduta dopo cinque anni d’utilizzo a un prezzo più alto di quanto sia costata al proprietario. A Gaza, che è complessa malgrado la sua apparente semplicità, tutti sanno che la fine della crisi e sue conseguenze contribuiranno a cambiare le loro vite per almeno due anni. Hanno una fede profonda nel fatto che la resistenza imporrà le condizioni della tregua, che saranno direttamente relazionate alla loro vita quotidiana come l’accesso all’acqua, l’elettricità o l’apertura delle frontiere. In conseguenza, non esiste altra opzione al popolo di Gaza se non il sostegno alla resistenza, qualunque sia il prezzo da pagare.

La lotta armata non è più una strategia politica o un semplice mezzo di resistenza. La resistenza è divenuta un termine ampio che racchiude molti concetti. È la vita. È la capacità di viaggiare, studiare, ricevere delle cure mediche adeguate. Più di ogni cosa, è divenuta un simbolo per la loro dignità e una parte integrante della loro identità. Non li abbiamo mai sentiti scandire slogan per l’apertura delle frontiere, perché sanno già che quest’apertura dovrebbe essere integrata alle condizioni di un potenziale cessate il fuoco. L’apertura delle frontiere sarà la cosa più evidente, il risultato più assiomatico scaturito dalla tenacità della resistenza sul campo di battaglia. Le frontiere non saranno più controllate dalla volontà umana, legata all’umore dei paesi limitrofi e dalle loro necessità politiche. Il fatto che tutti cospirino contro questo pezzo di territorio gli ha imposto una nuova definizione di resistenza, che in futuro sarà insegnata tra le scienze militari. Gaza è riuscita a formulare questa nuova definizione, diventata una parte centrale della sua identità geografica. Sì, è un’identità il cui elemento più importante è la resistenza e chiunque creda nell’umanità dovrebbe sentirsi onorato nell’adottarla.

Palestina libera. Abbasso il sionismo. Gloria ai martiri,

Louay Odeh – Juillet 2014

Fonte: http://comebacktopalestine.wordpress.com (traduzione a cura di Nadia Morante) 

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