Menu

La “pace” di Madrid: tortura e caccia al basco, nuova retata

Una nuova retata, una nuova dimostrazione di tracotanza da parte del governo spagnolo che trema davanti alla prospettiva della separazione della Catalogna e che non sa fare altro che rispondere con più repressione.
Mentre la sua magistratura speciale – ereditata dal regime franchista senza neanche un cambio di indirizzo della sua sede principale, quella di Madrid – processa alcune decine di giovani baschi accusati di essere militanti di una organizzazione che neanche esiste più, Segi, presunta costola di un’organizzazione armata ormai inattiva da anni e ad un passo dallo scioglimento per quanto riguarda le attività militari, Rajoy ha mandato le sue truppe ad Azpeitia, piccolo comune della provincia basca di Gipuzkoa (quella di San Sebastian), per arrestare cinque ragazzi che si erano rifiutati di consegnarsi alla polizia.
Nel tardo pomeriggio di ieri attorno alla Basilica di Loyola dell’antico comune basco la polizia ‘autonoma’ basca, la Ertzaintza, ha dispiegato un meccanismo di assedio forte di parecchie centinaia di effettivi incappucciati. Come ai vecchi tempi le forze di sicurezza hanno letteralmente occupato il territorio del comune, trasformandolo in zona di guerra. Finché non è partito l’assalto ad alcune centinaia di giovani attivisti della sinistra indipendentista e agli abitanti di Azpeitia che circondavano e proteggevano con il loro corpo i cinque processati per appartenenza a Segi che non si erano consegnati all’Audiencia Nacional. Il ‘muro popolare’ – Herri Harresia, in basco – già sperimentato in altre località ed in altre occasioni dalla gioventù basca per socializzare gli arresti opponendo alla prepotenza dello stato la resistenza passiva e la disobbedienza civile, ha retto per un po’, ma la violenza dei ‘beltza’ (i corpi speciali della polizia al servizio del Partito Nazionalista Basco) alla fine ha avuto la meglio. L’avvicinamento al nucleo dell’Aske Gunea – lo “spazio liberato” realizzato sulla scalinata della Basilica intitolato a San Ignazio – dove si trovavano i cinque giovani indipendentisti circondati dai loro compagni è durato quasi tre ore, accompagnato da slogan come “lasciate in pace la gioventù basca”, “noi per amore, voi per denaro” e il classico “no pasaràn”.
Ma a furia di strattoni, spintoni, calci, pugni e manganellate contro gli inermi resistenti con il volto coperto da una maschera e la maglietta arancione con lo slogan “Libre” i cinque giovani renitenti – Jazint Ramirez, Xabier Arina, Imanol Salinas, Igarki Robles e Irati Tobar – sono stati arrestati, ammanettati e condotti nelle patrie galere, in ottemperanza all’ordine di cattura spiccato in mattinata dalla solerte magistrata Angela Murillo.
Due manifestanti, incredibilmente, sono stati arrestati per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, accusati di aver percosso un agente che, secondo i comandi dell’Ertzaintza, dovrà essere addirittura operato. Molti altri sono stati identificati durante lo smantellamento del ‘muro popolare’ e con ogni probabilità nei prossimi giorni partiranno nei loro confronti varie denunce per resistenza, lesioni, manifestazione non autorizzata.
Nessun bollettino medico ufficiale invece su decine di ragazzini e ragazzine tornati a casa con lividi, ematomi, contusioni e traumi di vario tipo, al termine di una giornata di ennesima brutalità da parte degli apparati di uno stato che non vuole proprio rinunciare a una guerra ormai da tempo unilaterale. Tra i feriti anche un manifestanti di 60 anni, ricoverato in ospedale a causa di un forte colpo sul naso sferratogli da un poliziotto.
Intanto il processo cominciato lunedì contro i 28 giovani attivisti accusati di essere dei ‘terroristi’ in quanto militanti di una organizzazione messa fuori legge dal governo spagnolo è stato dominato dalle denunce, da parte degli imputati, dei metodi di tortura utilizzati contro di loro dagli inquirenti.
Ander Maeztu, Garazi Autor, Izaskun Goñi, Oihana Lopez e Eneko Villegas hanno raccontato in maniera dettagliata i maltrattamenti e gli abusi loro inflitti per obbligarli a confessare delitti mai compiuti e ad auto incolparsi in vista di un processo che altrimenti non può contare su alcuna altra ‘prova’ della colpevolezza degli imputati. «Sono stato obbligato, minacciato, colpito e torturato” ha denunciato in particolare Eneko Villegas che ha accusato la Polizia spagnola di averlo costretto con la violenza a firmare una dichiarazione di colpevolezza che appena terminato il periodo di incomunicaciòn, l’isolamento totale che la legge di Madrid concede in caso di accuse di terrorismo, ha prontamente ritrattato. “Ero paralizzato dalla paura” ha invece raccontato Ander Maeztu a proposito delle violenze subite dopo il suo arresto, il 22 ottobre 2010, denunciando i numerosi colpi ricevuti dagli agenti e l’applicazione della ‘bolsa’, classico metodo di soffocamento praticato con l’uso di una busta di plastica. “Mi hanno tolto la felpa e la camicia, mi hanno toccato i seni, mi hanno dato colpi in testa, sulla schiena e pugni sulla pancia” ha invece denunciato Garazi Autor. “Se non rispondevo alle loro domande come volevano, mi facevano fare delle flessioni e mi obbligavano a spogliarmi” è stata la denuncia di Oihana Lopez. Un altro giovane imputato, Egoi Irisarri, è stato colpito così duramente dai carcerieri dopo l’arresto che poi fu ricoverato d’urgenza all’ospedale Gregorio Marañón di Madrid.
La sessione nel “bunker” dell’Audiencia Nacional si era aperta con un eclatante gesto di protesta da parte dei 23 imputati che avevano accolto il giudice Angela Murillo di spalle, denunciando con cartelli e slogan la natura politica del processo e chiedendo una risoluzione politica del conflitto di cui, grazie all’intransigenza di Madrid, non si vede traccia.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *