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Intervista a Mariam, una militante rivoluzionaria afghana

Mariam (come abitudine il nome è di fantasia per ragioni di sicurezza) è una delle centinaia di militanti della Revolutionary Association Women of Afghanistan attiva nel proprio Paese. E’ presente in questi giorni in Italia dove terrà incontri pubblici in alcune città (Bologna, Milano, Venezia, Vicenza) per illustrare la pianificazione dei programmi dell’organizzazione verso la condizione femminile. L’abbiamo incontrata a Roma discutendo, fra l’altro, della nuova fase interna rispetto alle mutazioni geopolitiche.

Mariam cosa s’aspetta la popolazione afghana dal nuovo corso della presidenza Ghani?

Le elezioni cosiddette democratiche sono state una farsa, il nostro popolo non s’aspetta nulla.

Nonostante la palese impasse elettorale, con la reciproca accusa di brogli fra i candidati finali, la comunità internazionale definisce questo percorso democratico. E’ ipocrisia o un piano preordinato?

Di sicuro non siamo di fronte a una situazione democratica. Il Paese è sotto occupazione della Nato che interviene con contingenti di 47 nazioni (fra cui l’Italia, ndr), queste elezioni hanno rappresentato un insieme di giochi messi in atto dagli Stati Uniti. Il volere dei cittadini non è mai rientrato negli intenti del precedente regime fantoccio (Karzai, ndr).

Gli antichi signori della guerra restano in primo piano, nelle Istituzioni (Dostum è vicepresidente) o nelle alleanze di vertice (Sherzai, Sayyaf sono vicini al Capo Esecutivo Abdullah). Ultimamente s’è verificato un cospicuo riarmo dei privati. Tutto ciò preoccupa?

Coi fondamentalisti al potere il rischio della guerra civile è sempre presente. Nonostante i nuovi vertici lancino proclami di unità nazionale i fondamentalisti non hanno mai appoggiato l’unione delle varie etnìe afghane. Al contrario puntano a sostenere il proprio gruppo etnico e alimentare i contrasti fra fazioni. Avviene tuttora, i loro interessi sono altri. La distribuzione di armi da parte dei candidati ai sostenitori dimostra la totale instabilità del percorso politico. Ora hanno raggiunto un accordo, ma solo due mesi fa erano pronti a spararsi addosso. Ci sono le prove di consistenti furti di armi in dotazione all’esercito, episodi per nulla sporadici e marginali. Non iniziative di singoli o bande, ma di organismi paramilitari. Tutto ciò si nota nelle aree rurali dove circolano moltissime armi, che trasformano diatribe personali in omicidi, come nel caso del povero Safa (il giovane militante di Hambastagi freddato da un prepotente locale, ndr).

Il Bilateral Security Agreement è stato siglato da Ghani dopo appena un giorno dall’insediamento, così gli Stati Uniti potranno giustificare una presenza militare forse per i prossimi dieci anni. Ancora morti, lutti, ingerenze nel futuro del Paese?

In Afghanistan non c’è stata solo una presenza militare statunitense diretta, quella degli ultimi tredici anni, ma una indiretta compiuta dagli agenti della Cia addestratori dei mujaheddin durante l’occupazione sovietica. Gli americani guardano al nostro territorio che è il cuore dell’Asia. Controllando l’Afghanistan possono tenere sott’occhio i confinanti, dalla sempre più potente Cina, al pericoloso Iran, all’instabile Pakistan.   

Quant’è reale uno smembramento della nazione a vantaggio del cosiddetto Pashtunistan inseguito dai talebani delle Fata?

Non pensiamo che la creazione del Pashtunistan possa azzerare le ostilità etniche, anzi una simile realizzazione potrebbe compromettere ancor più la stabilità della regione. Il mantenimento dei confini nazionali continua a essere la soluzione migliore per chi vuole trasformare in senso veramente democratico gli Stati. So che altrove gruppi etnici sono divisi in più nazioni. E’ un elemento contraddittorio, bisogna valutare se gli obiettivi di unificazione su base etnica prospettino una società più equa; nel caso pashtun s’insegue un mondo arcaico e conservatore. Tale ipotesi aumenterebbe i conflitti, di conseguenza il caos nell’area a tutto vantaggio di chi, come le forze Nato, attorno alla motivazione della sicurezza globale occupano i territori. Noi crediamo che la soluzione al problema etnico è la creazione di due governi democratici in Afghanistan e Pakistan che rispettino e proteggano i diritti delle minoranze.

Le mire delle potenze regionali (Pakistan, Iran) sono più pericolose dello sfruttamento economico lanciato dalle potenze mondiali (Usa, Ue, Cina)?

Se paragonati all’ingerenza americana i Paesi confinanti non costituiscono una minaccia diretta al nostro territorio. Certo ogni vicino ha interessi in Afghanistan e rappresenta a suo modo un’insidia per il nostro popolo. Però parlando d’Iran e Pakistan ci riferiamo a due nazioni con un’infinità di problematiche interne e di gestione delle medesime, dunque non in condizione di pensare a occupazioni simili a quelle occidentali. I due grossi attori regionali, hanno pratiche che si somigliano ma interessi opposti. Il Pakistan sul tema del Pashtunistan ha appoggiato la candidatura di Abdullah con la speranza di avere una controparte tajika in grado di opporsi alla predominanza dei pashtun. Gli intenti iraniani sono d’altro tipo: tramite una propaganda martellante, una sorta di lavaggio del  cervello, soprattutto dei giovani e degli elementi più istruiti cercano di creare un avamposto amico per lo scontro ideologico col mondo statunitense. Poi c’è la Cina, come tutte le potenze interessata all’Afghanistan perché ricco di minerali finora non sfruttati. Riserve stimate in tre triliardi di dollari, un business pazzesco. Al di là delle concessioni accordate per non creare chiusure, difficilmente il padrinaggio di Washington permetterà al futuro establishment afghano di favorire un competitor sul mercato mondiale della portata del gigante asiatico.

Dopo l’inattendibilità del test presidenziale ha senso la prossima consultazione elettorale prevista per l’anno venturo? E componenti democratiche potranno parteciparvi?

Le politiche non sono diverse dalle presidenziali, abbiamo sotto gli occhi le esperienze passate. Il Parlamento di per sé è composto da fondamentalisti, la cacciata di Malalai Joya è un episodio ben vivo, come la legge sull’impunità che i personaggi più retrivi hanno avuto in dono da Karzai tramite il voto alla Wolesi Jirga. Noi non crediamo che queste elezioni produrranno benefici alla maggioranza del popolo. Personalmente non vogliamo avere a che fare con simili figuri, credo che neppure Hambastagi farà alcun passo in tal senso.

Violenze domestiche (percosse, mutilazioni genitali) o esterne (stupri) proseguo imperterriti e vedono taluni protettori, come i signorotti locali, minacciare gli stessi procuratori che presiedono le indagini…

Sì, la situazione è dura e sta peggiorando. Purtroppo gli anni di presunti governi democratici sotto l’occupazione Nato hanno ridato spazio a  fondamentalisti misogeni più o meno mascherati. Costoro lavorano contro le donne e l’affermazione dei loro diritti. Finora non c’è stata una legislazione efficace nella difesa del mondo femminile sia dall’antico pashtunwali, sia dal prepotente maschilismo che circola nella vita quotidiana. Qualche legge esistente è ampiamente inapplicata. Né può reggere l’alibi d’un intervento occidentale motivato quale difesa della donna contro l’estremismo talebano. Gli oscurantisti occupano posti di potere e vanno a braccetto con l’Occidente, non solo militare ma politico, quello che parla di normalizzazione del Paese. La mistificazione è ancor più subdola quando i media diffondono immagini di kabuliote che godono di privilegi. Si tratta di meschina propaganda. Mostrano le amiche dei fondamendalisti che siedono in Parlamento come le deputate Fawzia Koofi e Shukria Barakzai, legate a quel genere d’islamisti che opprimono le donne.

C’è una linea comune fra il fondamentalismo talebano, le usanze tribali e l’estremismo d’un Islam politico presente nella società afghana?

C’è eccome! E’ il comune denominatore che unisce passato e presente. Ogni etnìa ha i propri valori sul ruolo della donna, spesso valori tradizionali e reazionari. Tranne poche aree la donna afghana è esclusa, non ha possibilità di decidere nulla neppure fra le mura di casa. Negli ultimi tredici anni le cose non sono affatto andate meglio: ditelo, fatelo sapere, perché la campagna delle falsificazioni è una macchina potentissima.

Il lavoro sociale svolto da associazioni vicine a Rawa tramite shelter, scuole, scuole di avviamento al lavoro, orfanotrofi producono aiuto concreto alla popolazione, creando adesione e sostegno. Come poterle trasformare in militanza di massa?

Ogni famiglia ha dei valori che se protetti possono avere un impatto nella generazione successiva e così via per le seguenti. L’Afghanistan rappresenta una famiglia in grande scala, se i valori positivi sulla questione femminile, come sulla democrazia, la pace, l’equa distribuzione delle ricchezze vengono rispettati dentro un nucleo familiare c’è la possibilità che tali comportamenti vengano trasmessi nella società. Non stiamo fantasticando di utopie, già vediamo alcune di queste mutazioni. Basta prendere ad esempio la stessa Hambastagi: ora i militanti di quel partito frequentano l’università e hanno un ruolo attivo nel Paese. Stanno emancipando le proprie famiglie dalla subalternità a lungo sopportata. Così nella nostra organizzazione: fino a trent’anni addietro molte aderenti  mostravano una partecipazione solo ideale alle lotte. Ora, seppure i rischi non siano diminuiti (Mariam e altre sue compagne prendono ogni precauzione per non essere individuate e colpite), tante di noi siamo attiviste a tempo pieno e nei vari ruoli (insegnanti, agitatrici, organizzatrici). Tutto ciò concerne un cambiamento politico e culturale, l’unico che va nel profondo delle nostre vite e mette radici.  

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