Menu

Strage di studenti, il Messico in piazza: ‘ya basta’

Un moltitudinario ¡ya basta! gridato contro il clima di terrore che si vive nel Paese e contro l’impunità che lo rende possibile, ma anche un abbraccio collettivo e solidale, pieno di dolore, rabbia e indignazione, nei confronti dei normalisti di Ayotzinapa. Potremmo riassumere così il senso della giornata di mobilitazione nazionale dell’8 ottobre, durante la quale, migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il Messico e in diverse parti del mondo per rispondere all’appello lanciato dai compagni e dai genitori dei 43 studenti normalisti scomparsi lo scorso 26 settembre ad Iguala, nello stato del Guerrero, dopo essere stati brutalmente aggrediti da un commando formato da agenti municipali e sicari legati all’organizzazione criminale denominata Guerreros Unidos.

A 13 giorni dalla strage, che ha avuto un bilancio di 6 morti e una ventina di feriti, tra i quali un giovane dichiarato in coma cerebrale, il Paese intero si è mobilitato, riempiendo le piazze come non si vedeva da tempo e con una grande determinazione.I manifestanti hanno inondato le strade per chiedere verità e giustizia per le vittime della strage di stato di Iguala e la “restituzione con vita” dei normalisti scomparsi. Durante tutta la giornata, ci sono state iniziative in almeno 27 dei 32 stati della Repubblica, e sono stati contati un centinaio di eventi nelle principali località messicane.

A cominciare da Chilapancingo, la capitale dello stato del Guerrero, dove un corteo di circa 50 mila persone ha attraversato la città chiedendo le dimissioni del governatore dello stato Angel Aguirre, esponente del PRD (Partido de la Revolución Democratica) accusato di avere legami con il narcotraffico e di aver portato avanti una caccia alle streghe nei confronti dei movimenti e delle organizzazioni sociali guerrerensi, ai qualiè già costata 13 morti e diversi detenuti politici.

Alla manifestazione, aperta dai familiari delle vittime e da scuole normali provenienti da diverse zone del Paese, hanno partecipato, insieme agli studenti, i sindacati dei docenti CETEG (Coordinadora Estatal Trabajadores de la Educación Guerrero) e la sezione 14 democratica del SNTE (Sindicato Nacional de Trabajadores de la Educación). Durante il suo passaggio per il lungo le vie di Chilpancingo, il corteo è stato salutato da dimostrazioni di solidarietà da parte di passanti, automobilisti e persone affacciate al balcone.

Una volta giunti nella piazza centrale della città, il portavoce della Sezione 14 ha annunciato l’inizio del blocco totale e indefinito dei lavori e l’istallazione in loco di un presidio permanente che durerà fino a quando non saranno ritrovati i normalisti desaparecidos. Un secondo corteo, composto da normalisti, studenti e maestri, ha invece occupato per alcune ore l’autostrada del Sole, che unisce Città del Messico ad Acapulco.

A San Cristobal de Las Casa, in Chiapas, oltre 20 mila basi d’appoggio zapatiste, hanno marciato silenziosamente lungo le vie della capitale dello stato, mostrando cartelli e striscioni con le scritte “il vostro dolore è il nostro dolore, la vostra rabbia è la nostra rabbia”. Il corteo, composto soprattutto da giovanissimi uomini e donne appartenenti alla guerriglia, ha sfilato tutto intorno alla sede del potere politico locale senza fare pause né comizi, per poi ritornare verso i mezzi di trasporto e riprendere il lungo viaggio verso le comunità.

La decisione degli zapatisti di aderire alla protesta nazionale in sostegno ai normalisti di Ayotzinapa era arrivata la sera precedente con una breve comunicato del Subcomandante Insurgente Moisés, nel quale, oltre ad annunciare la propria partecipazione, la guerriglia indigena ha invitato tutti gli aderenti alla Sexta in Messico e nel mondo a dimostrare la propria solidarietà agli studenti della scuola normale Raul Isidro Burgos. Oltre a quello degli zapatisti, ha sfilato lungo le vie della capitale chiapaneca anche un corteo di circa 5 mila studenti.

1ayo1

La manifestazione più partecipata è stata senz’altro quella di Città del Messico. Per oltre due ore, infatti, una moltitudine indignata e composita ha attraversato il centro storico della capitale seguendo il classico percorso che va dal monumento dell’Ángel de la Independencia allo zócalo. Nonostante la questura abbia calcolato la presenza di 15 mila persone,è verosimile parlare di cifre che girano intorno alle cento mila presenze. Anche quì, ad aprire il corteo sono stati i familiari dei desaparecidos e gli studenti di Ayotzinapa, giunti nella capitale con 18 autobus e salutati ad ogni piè sospinto dal grido “no están solos” o “Ayotzinapa somos todos”. A seguire, erano presenti le scuole normali rurali del resto del Paese, la combattiva CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores Educación), gli studenti delle principali università cittadine, il sindacato degli elettricisti, una delegazione della Tribú Yaqui, il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco, la Sexta zapatista, il Frente Popular Francisco Villa Independiente e un centinaio di altre organizzazioni e collettivi.

Quì come in diverse altre iniziative, tuttavia, la presenza più significativa e meno scontata è stata quella delle individualità non organizzate, che hanno partecipato in massa alla manifestazione, spesso portando con sé cartelli, magliette o striscioni fatti in casa per esprimere la propria rabbia nei confronti di governo e partiti istituzionali, tutti considerati ugualmente responsabili della situazione in cui versa il Paese. Rappresentativa, in questo senso è stata la cacciata di Cuautemoc Cárdenas, storico membro del PRD e considerato come la figura morale della sinistra messicana.

Quest’ultimo, una volta conclusasi la manifestazione, si avviava verso il palco situato ai margini della piazza principale della città (occupata dai padiglioni della fiera del libro) per tenere un intervento, quando è stato allontanato in maniera aggressiva da una parte dei manifestanti, i quali al grido di “né PRI, né PAN né PRD”, hanno messo in evidenza tutta la distanza esistente tra la piazza della capitale e la sinistra istituzionale, la quale nel corso degli ultimi anni ha avuto unicamente il ruolo di stampella legittimante del sistema politico ed ha perso buona parte del suo consenso sociale.

Da segnalare, inoltre, le iniziative dello stato di Oaxaca, dove, oltre ad essersi tenuti 4 diversi cortei, si sono verificati blocchi stradali e di centri commerciali portati avanti soprattutto dai maestri della sezione 22 della CNTE, i quali hanno dichiarato che stanno organizzando una carovana solidale per Ayotzinapa che partirà durante la prossima settimana. Altre manifestazioni si sono svolte in tantissime città del Paese, da Tlaxcala a Monterrey, da Cancun a San Luis Potosí, dando vita ad una giornata di mobilitazione che rappresenta una risposta contundente a chi sperava che 8 anni di guerra al narco avessero indotto la popolazione civile all’immobilità e all’assuefazione, e che fa ben sperare per il prossimo futuro.

Sul piano internazionale, infine, sono state segnalate venti iniziative in diverse città del pianeta, le quali possono essere molto utili per aumentare la pressione cui è sottoposto il governo di Peña Nieto, criticato da diversi organismi internazionali che spingono perché il governo si impegni per fare luce su questo vero e proprio crimine contro l’umanità. Sia l’ONU che l’OEA si sono espresse in questo senso, mentre la CIDH (Corte Interamericana dei Diritti Umani) ha dato dieci giorni di tempo al governo messicano per dare delle informazioni concrete rispetto ai tre omicidi di cuiè accusato Jorge Luis Abarca, il sindaco di Iguala, attualmente latitante, considerato il mandante poltico della mattanza dei normalisti. Il perredista voleva fermarli perché temeva fossero in città per contestare l’evento in cui sua moglie,María de los Ángeles Pineda, presidenta del DIF (ente per lo sviluppo della famiglia) e appartenente ad una famiglia legata al clan dei Beltran Leyva, avrebbe presentato la sua seconda relazione annuale. Ad ordinare sequestro ed omicidio, sarebbe stato invece, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, il boss mafioso chiamato El Chucky, luogotenente dei Guerreros Unidos.

D’altra parte, mentre Amnesty International ha definito come una pantomima le ricerche dei normalisti messe in campo dal governo centrale, Human Right Watch ha puntato il dito sull’iniziale passività con cui Peña Nieto ha affrontato la situazione, agendo tardi – solo 4 giorni dopo la strage – e male – dicendo che si trattava di un problema locale. Le recenti scelte di inviare la Gendarmeria Nacional e l’esercito per prendere il controllo della situazione e iniziare una ricerca seria degli studenti e quella della Procura Generale della Repubblica di attrarre a sé il caso -solo dopo aver dato tempo al governo di speculare politicamente sulla tragica vicenda-, vengono dunque interpretate come una risposta mediatica, dovuta alla crescente pressione internazionale e dell’opinione pubblica.

Dal punto di vista delle indagini, gli arresti sono saliti a 34: si tratta 26 agenti municipali e 4 membri del clan Guerreros Unido, e 4 detenuti oggi dei quali non si conosce l’appartenenza. Sarebbero stati proprioquesti ultimi, secondo il procuratore generale della Repubblica, Jesús Murillo Karam, ad indicare l’esistenza di altre quattro fosse clandestine, che salirebbero a questo punto a quota nove. A questo proposito, dallo scorso lunedì, il comitato dei familiari viene sostenuto nella ricerca della verità da un gruppo di antropologi argentini esperti in materia di DNA, tuttavia, durante gli interventi di ieri è stato denunciato il tentativo della procura di rendergli più difficile il lavoro, impedendogli l’accesso ai corpi trovati nelle fosse.

Rispetto a questi ultimi, nonostante le dichiarazioni di alcuni agenti arrestati indichino che 17 studenti sarebbero stati uccisi e poi bruciati e sepolti in località Pueblo Viejo, una zona isolata di Iguala, il comitato dei familiari e i compagni dei normalisti non credono a questa versione e la ritengono una mossa del governo per scaricare la responsabilità sui soli narcos, quando sono stati gli agenti municipali, come confemato dai video delle telecamere presenti lungo il percorso fatto dalle volanti che trasportavano i ragazzi, a portare avanti il sequestro e dovrebbero quindi sapere esattamente dove sono i 43 desaparecidos.

Inotre, il portavoce del comitato, Manuel Martinez ha informato che almeno 2 dei 28 corpi ritrovati fino ad ora appartengono a donne, mentre i normalisti erano tutti di sesso maschile, per cui invitano tutti ad aspettare i risultati dell’equipe argentino e ribadiscono che non hanno fiducia nelle autorità dato che il loro unico obiettivoè quello di tutelare la propria immagine in vista della tornata elettorale del 2015. A questo va aggiunto il fatto che la zona in questione, secondo le testimonianze degli abitanti, viene da tempo utlizzata dai narcos come cimitero clandestino.

La diffidenza nei confronti delle autorità è data soprattutto dal fatto chequeste non hanno mai fatto nulla in favore dei normalisti, al contrario, li hanno sempre criminalizzati e duramente colpiti nel corso delle loro iniziative di lotta, trasformandoli nel nemico pubblico numero uno e dandone la falsa immagine di violenti e premoderni. Per i tre livelli di governo, polizia e mass media le scuole normali rurali sono un retaggio del passato da eliminare. Fondate negli anni ’20 per alfabetizzare e formare le masse contadine, le normali rurali sono da sempre frequentate da studenti provenienti da famiglie povere ed hanno prodotto negli anni generazioni di maestri che si sono dati il compito di andare nelle province del Paese non solo ad insegnare ma a diffondere capacitá critica e coscienza civile (e a volte pure di classe) nelle zone piú recondite e indifese del paese.

In contesti di questo tipo, il professore diventa spesso un punto di riferimento per la comunità, una sorta di intellettuale organico della stessa che svolge anche un ruolo di mediazione tra le istituzioni e la popolazione e che, in occasioni di conflitto, puó anche trasformarsi in leader o portavoce di movimenti di resistenza o di rivolta, come successe, per esempio, ai leggendari Genaro Vazquez e Lucio Cabañas animatori della guerriglia nel Guerrero alla fine degli anni ’60, ed entrambi passati dalla normale di Ayotzinapa.

A causa di questa lunga tradizione di lotta, dei programmi ancora permeati dall’educazione socialista sulla base della quale si fondarono le rurali, oltreché dell’immagine di culla di futuri rivoltosi, i normalisti sono visti come fastidiosi da molti poteri costituiti e per questo sono spesso nel mirino di azioni repressive o di assalti di gruppi paramilitari. La strage di Iguala può essere dunque considerata come il prodotto della volontà politica di eliminare questa anomalia dal sistema educativo messicano, una volontà politica inserita in un contesto nel quale l’impunità è la regola nella stragrande maggioranza dei casi. Di cosa ci parlano, infatti, i tre autobus crivellati di colpi sparati con mitragliette AR-15, se non del totale disprezzo delle vite di quei ragazzi e della certezza di farla franca da parte di chi ha ha preso parte alla carneficina?

Sebbene governo e mass media stiano cercando di far passare la strage di Iguala come un caso isolato, questa carneficina è al contrario indicativa della situazione in cui si trovano diversi stati della repubblica messicana e di una tendenza presente in tutto il Paese. La strage di Iguala, infatti, per quanto sia un crimine che lascia senza parole e faccia tremare la vene ai polsi, non rappresenta affatto una novità.

Solo poche settimane fa, sono state trovate fosse comuni a Xalapa, Veracruz, mentre in Chiapas tre ejidatarios del Bachajón aderenti alla Sexta zapatista, dopo essere stati arrestati illegalmente, sono stati torturati ed infine denunciati per aggressione a pubblico ufficiale. Le carceri messicane sono piene di dirigenti ed attivisti che spesso finscono dietro alle sbarre per aver difeso il territorio dall’imposizione di grandi opere e mega-progetti. Mentre la sparizione forzata e la morte sono un rischio che corrono sempre più spesso giornalisti indipendenti, attivisti per la difesa dei diritti umani o dell’ambiente, sindacalisti scomodi, e chiunque possa mettere in discussione gli interessi del potente di turno, dal sindaco alla multinazionale, dall’impresa mineraria al crimine organizzato.

La strage dei normalisti di Ayotzinapa lungi dall’essere un caso isolato, ci parla dunque della drammatica situazione che sta vivendo il Messico de abajo, stretto tra guerra e militarizzazione, nel quale, anche grazie al disinteresse della cosiddetta comunità internazionale – più interessata ad investimenti e profitti facili che ai diritti e all’agibilità democratica -, a farne le spese sono sempre, come in ogni guerra, popolazione civile e movimenti sociali.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *