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In massa al voto, il Donbass sempre più lontano da Kiev

Kiev ha provato a boicottare le elezioni di domenica nelle Repubbliche Popolari in diversi modi: bombardando qua e là le città, sparando contro alcune delegazioni di osservatori internazionali arrivati a monitorare il voto, sigillando ogni strada di accesso al Donbass ribelle, scatenando i propri hacher contro il sistema elettronico di conteggio dei voti.

Ma alla fine l’affluenza alle urne è stata alta, più alta delle aspettative, dopo i partecipati referendum indipendentisti di maggio un ennesimo atto di separazione dalle sorti di un’Ucraina governata da un regime nazionalista e russofobo. Assai più alta rispetto a quel misero 52% registrato esattamente una settimana prima per le elezioni legislative dalle quali era emersa una Rada ancora più a destra e dominata dagli oligarchi, sebbene sotto l’ombrello formale dell’Unione Europea. Lo ha spiegato al regime maidanista – e forse pure a Mosca – Roman Lja­ghin, Pre­si­dente della Com­mis­sione elettorale centrale di Done­tsk quando ha detto: «Kiev deve met­tersi l’animo in pace: il Don­bass non fa più parte dell’Ucraina.

Mettendo insieme i dati delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk si supera il 60% di affluenza alle urne, con lunghe file di elettori che attendevano il loro turno già al mattino presto. Un risultato che – considerando l’assedio militare che dura ormai da molti mesi, le migliaia di morti e le distruzioni – smentisce coloro che continuano a parlare di uno scarso sostegno della popolazione delle zone ribelli nei confronti della scelta ‘separatista’. A decine di migliaia hanno votato anche dalle regioni di confine della Russia – Rostov sul Don, Voro­nezh e Belgorod – dove sono quasi un milione gli ucraini rifugiati dopo esser scappati dai bombardamenti, dai combattimenti e dai pogrom antirussi dell’esercito e delle formazioni fasciste di Kiev, e anche dall’estero.

Il regime di Kiev ha reagito stizzito all’alta partecipazione popolare al voto organizzato da quelli che il governo Yatseniuk continua a chiamare ‘terroristi’ ed ha addirittura avvisato che dichiarerà “persone non grate” le centinaia di osservatori internazionali arrivati in Donbass da Roma (tutti forzisti, nessuna traccia dei partiti di sinistra italiani), Praga, Berlino, Mosca, Atene, Belgrado, Washington, Vienna e Sofia, che hanno parlato tutti di elezioni trasparenti e democratiche. Non si sono registrati incidenti particolari, tranne la scoperta e la neutralizzazione di due commandos di sabotatori armati e pronti ad attaccare i seggi in due cittadine, Marinovka e Yelenovka.
Nonostante questo l’Unione Europea, gli Stati Uniti e una lunga sfilza di istituzioni internazionali hanno tuonato contro le elezioni di domenica, tacciate di farsa, di provocazione, di attentato alla pace e all’unità dell’Ucraina e definite “illegali e illegittime”. Non si sono discostati dal coro, naturalmente, né Renata Mogherini né il suo successore alla Farnesina Paolo Gentiloni.
Da parte sua invece il governo di Mosca – che ieri ha spedito nel Donbass un nuovo convoglio di camion carichi di aiuti umanitari per la popolazione assediata – ha riconosciuto la validità delle elezioni separate di domenica, dopo aver accettato l’esito di quelle organizzate in Ucraina dai nazionalisti sotto l’egida di Ue e Nato, e si è detta delusa dalla reazione scomposta dell’Occidente.

Il risultato emerso dalle urne era quello atteso e la vittoria se la sono aggiudicata gli attuali lea­der delle due Repub­bli­che, Alek­sandr Zakhar­cenko e Igor Plot­ni­tskij. Il primo ha ottenuto circa 765mila voti (oltre l’80%), con­tro i circa 112mila del vice Pre­si­dente del par­la­mento della Novo­ros­sija (l’unione delle due repubbliche) Aleksandr Kof­man e i 93mila del deputato del Soviet Supremo Jurij Sivokonenko. A Lugansk Plot­ni­tskij ha preso 445mila voti (il 64%) sbaragliando due sfidanti che si sono fermati rispettivamente al 10 e al 7,2%.
Dal punto di vista politico dopo l’esclusione “tecnica” dei partiti ereditati dal panorama politico ucraino – compresi i comunisti che avrebbero compiuto alcuni errori nella presentazione delle loro candidature – ad affermarsi nelle due repubbliche sono state liste collegate con i due leader vincitori. Quindi «Repub­blica di Done­tsk» capeg­giata da Zakhar­cenko e «Pace a Lugansk» guidata da Plot­ni­tskij hanno stravinto sbaragliando gli avversari. Il 38enne responsabile della difesa di Donetsk prima della sua scelta alla guida della Repubblica Popolare di Donetsk e il 50enne ex ministro della Difesa della Repubblica di Lugansk hanno guidato coalizioni eterogenee, improntate al nazionalismo, in molti casi all’antifascismo e ad una certa ‘nostalgia’ nei confronti dell’Unione Sovietica, con la presenza anche di ampi settori di sinistra. Esclusi dal voto invece Pavel Gubarev e il suo movimento ‘Nuova Russia’, collegati invece con movimenti nazionalisti russi decisamente più reazionari.

Chiuse le operazioni di voto i militari e gli estremisti di destra inquadrati nei battaglioni punitivi hanno subito intensificato i bombardamenti su Donetsk e su altre località del Donbass, dove si teme l’inizio imminente di una massiccia offensiva governativa. Stamattina numerosi sono stati i colpi di mortaio e di cannone sparati contro l’aeroporto della maggiore città ribelle. Inizio modulo

Ieri il presidente ucraino Petro Poroshenko aveva d’altronde annunciato che Kiev intende rivedere l’accordo di pace siglato a Minsk a inizio settembre e mai rispettato.

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