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Turchia: i contadini si oppongono allo sradicamento degli olivi, picchiati e sequestrati

Un’altra piccola ‘Gezi’ scuote l’opinione pubblica turca, o almeno dovrebbe.

Un nuovo episodio di brutalità da parte del regime turco, l’ennesima dimostrazione che l’islamismo aggressivo sul fronte ideologico e culturale e l’autoritarismo sul fronte della gestione del dissenso vanno di pari passo, ad Ankara, con la difesa del business, con l’affarismo più sfrenato. Turbocapitalismo islamista autoritario, potremmo dire per condensare in un’unica definizione l’ideologia alla base dell’affermarsi di un personaggio come Recep Tayyip Erdogan e del suo entourage infarcito di businessmen e affaristi senza scrupoli.

Questa volta non sono i curdi o un’altra minoranza l’oggetto della violenza dello stato turco, ma gli abitanti del villaggio di Yirca, colpevoli di voler tutelare il proprio territorio e il proprio patrimonio naturale minacciato da uno dei tanti progetti che i governi centrale e locali implementano per nutrire le proprie manie di grandezza ma soprattutto per oliare un meccanismo della speculazione a sua volta fondamentale per foraggiare l’oligarchia politica dominante.

Il progetto questa volta è ambizioso, perché nel villaggio a qualche chilometro da Soma, dove nel maggio scorso un ‘incidente’ in miniera uccise più di 300 minatori, il governo vuole costruire una centrale a carbone. Gli abitanti, le associazioni ambientaliste e alcune organizzazioni politiche di sinistra si oppongono però ai piani di Ankara ed hanno piantonato i loro uliveti a rischio distruzione per ben 52 giorni.
Quando venerdì all’alba gli operai e i tecnici della compagnia Kolin Group hanno cominciato ad abbattere i primi olivi i residenti e gli attivisti hanno cercato di difenderli con i loro corpi, piazzandosi davanti ai bulldozer e lanciando sassi. Contro di loro si sono scagliati però i vigilantes della Kolin Group: manifestanti e residenti trascinati per i piedi e per i capelli e caricati in un camion, per poi essere letteralmente sequestrati all’interno di un capannone ad alcuni chilometri di distanza dal bosco divenuto cantiere. Molti i contadini pestati dai vigilantes le cui regole d’ingaggio erano evidentemente molto chiare. D’altronde il loro datore di lavoro, il Kolin Group, fa parte del consorzio che ha ricevuto dal governo Erdogan l’appalto per la costruzione del terzo aeroporto di Istanbul. Una affare da parecchi miliardi di euro che dimostra il legame tra l’azienda e il partito di governo.

Alcuni tg hanno mostrato la disperazione degli abitanti, con il capo del villaggio, Mustafa Akin in lacrime ed alcune anziane donne che abbracciavano gli alberi prima dello sradicamento. Uno scempio illegale, visto che un tribunale ha dato torto al Kolin Group e proibito i lavori, ma la sentenza è arrivata quando ormai i bulldozer avevano abbattuto più di 6000 olivi. “La lotta a Yirca serve a impedire danni irriversibili all’ambiente. La battaglia non è ancora conclusa” ha comunque affermato uno degli avvocati di Greenpeace, Deniz Bayram, annunciando la continuazione della mobilitazione contro la costruzione della centrale a carbone.

Anche perché una parte del villaggio di Yirca potrebbe essere addirittura abbattuto, visto che l’autostrada Istanbul-Izmir deve passare, dice il governo, proprio all’interno del centro abitato. E lo chiamano progresso…

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