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L’Onu agli Usa: “indagate sui pregiudizi razziali di magistratura e polizia”. Nuovi scontri

L’Onu ha sollecitato gli Stati Uniti a investigare sui pregiudizi razziali all’interno del proprio sistema giudiziario e di sicurezza, dopo il non luogo a procedere pronunciato dal Gran Giurì nei confronti dell’agente che uccise lo scorso agosto Michael Brown, un ragazzo nero diasarmato. “Sono profondamente sconcertato dal numero sproporzionato di giovani afroamericani che muoiono a causa di agenti di polizia, così come dal numero sproporzionato di afroamericani nelle prigioni americane e nei bracci della morte”, ha detto l’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Zeid Ra’ad Al Hussein, in un comunciato.

Il funzionario dell’Onu ha detto di non poter giudicare la sentenza con la quale è stato prosciolto Darren Wilson, responsabile della morte del 18enne a Ferguson, nel Missouri e ha invitato “tutti i contestatori a evitare la violenza e le distruzioni in seguito a questa decisione”, ma anche sottolineato come “almeno in alcuni settori della popolazione, ci sia una profonda mancanza di fiducia nei confronti della giustizia e delle forze di polizia”.
Zeid ha chiesto alle autorità americane di “condurre indagini approfondite sulle questioni razziali che affliggono la polizia e l’amministrazione della giustizia, sia a livello federale che statale” negli Stati Uniti. L’Alto commissario ha fatto riferimento anche al caso del 12enne Tamir Rice, ucciso dalla polizia di Cleveland perché in possesso di un’arma giocattolo: “In molti paesi dove le pistole vere non sono così facilmente reperibili, la polizia tende a vedere i ragazzi che giocano con delle pistole finte esattamente per quello che sono e non come un pericolo da neutralizzare”, ha detto Zeid mettendo il dito nella piaga: la libera circolazione delle armi da fuoco assicurata negli States dal potere delle lobby dell’industria delle armi e dalla subalternità ad esse dei rappresentanti politici. 

Intanto continuano in tutto il paese le manifestazioni e le proteste per la decisione del Grand Jurì che ha deciso di non processare l’agente di polizia responsabile dell’omicidio di Michael Brown.
Soprattutto a Ferguson e a St. Louis, ma anche a Chicago, a New York, a Washington, a Baltimora, San Francisco, Seattle e molte altre grandi città centinaia di migliaia di persone sono scese in strada per la seconda notte di seguito, bloccando ponti, tunnel e autostrade per protestare contro la decisione di non incriminare il poliziotto Darren Wilson.

A Ferguson, dove il governatore del Missouri Jay Nixon ha fatto affluire numerosi rinforzi della Guardia Nazionale armati fino ai denti, la tensione é ancora altissima e sono più di un centinaio le persone arrestate tra dimostranti e saccheggiatori.
A New York una folla si é riunita nel tardo pomeriggio a Union Square e, scandendo il nome Michael Brown e slogan come “un distintivo non é una licenza di uccidere”, ha iniziato a marciare, arrivando fino al Lincoln Tunnel e bloccandone l’entrata per una ventina di minuti. Bloccate anche diversi altre arterie della città, mentre diverse persone sono state arrestate. A Washington, un gruppo di manifestanti hanno inscenato un ‘die-in’, sdraiandosi in terra e fingendosi morti davanti ad alcune stazioni di polizia, per quattro minuti e mezzo. “Per simboleggiare le quattro ore e mezza che Michael Brown é rimasto sull’asfalto dopo essere stato ucciso”, ha spiegato uno di loro.
A Boston i manifestanti si sono diretti verso l’autostrada, bloccando le rampe di accesso alla Massachusetts Avenue. E ancora, manifestazioni in centro ci sono state anche a Philadelphia, Minneapolis, Seattle, Atlanta e Chicago, dove oggi era peraltro in visita il presidente.

Intanto un’intervista concessa dall’agente killer potrebbe gettare nuova benzina sul fuoco. “Mi dispiace molto per la perdita di una vita, ma ho fatto semplicemente il mio lavoro. Non e’ stata un’esecuzione e ho la coscienza pulita” ha detto Darren Wilson. Con tono freddo il poliziotto ha raccontato all’anchorman George Stephanopoulos la sua versione su quanto accadde quel giorno di agosto, quella presa per buona dai 12 giurati del Missouri che lo hanno scagionato. “Mi ha sbattuto la portiera contro, ho cercato di respingerlo e mi ha dato un pugno, c’e’ stata una colluttazione. Ho cercato di afferrare il suo braccio, mi sono reso contro della forza che aveva. Mi sembrava Hulk”.

“Quando gli ho detto di allontanarsi altrimenti avrei sparato, lui ha messo le mani sull’arma, ha cercato di afferrala. Allora ho sparato. Lui si è arrabbiato di più. E’ uscito dall’auto ed è fuggito, mentre io chiedevo rinforzi”. “Perche’ non si e’ fermato? Perche’ lo ha inseguito?”, gli chiede il giornalista. “Perche’ era il mio dovere. Ci addestrano per quello”, risponde il poliziotto. “Poi ho visto che ha messo una mano in alto, a forma di pugno mentre l’altra era nella cintura”. “Testimoni hanno detto che Brown aveva le mani alzate”, fa notare il reporter. “Assolutamente no, non é corretto”, dice Wilson. “Quando si é avvicinato mi sono chiesto: posso legalmente sparargli?’ E mi sono detto che dovevo farlo e ho sparato. Mi dispiace, ma non avrei fatto nulla di diverso quel giorno. La mia coscienza é a posto”.

Ma la famiglia della vittima non è affatto d’accordo ed ha annunciato, ieri, tramite i suoi legali, che si adopererà affinché il poliziotto, che per ora rimarrà in congedo dal servizio, venga incriminato a livello federale.

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