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La Moldavia al bivio. Scenario ucraino per Chisinau?

Oggi si gioca un’altra partita importante nell’ambito dello scontro fra potenze che segna l’inizio del XXI secolo: si tengono, infatti le elezioni nella piccola Repubblica di Moldavia, il paese più povero d’Europa secondo la Banca Mondiale, altro vaso di coccio fra i vasi di ferro, come la confinante Ucraina, con la cui storia politica recente vi sono non poche similitudini. Anche quella moldava, infatti, è un’economia che si è completamente destrutturata alla caduta dell’URSS: come settore di rilievo è rimasto quasi esclusivamente quello agricolo, mentre al comando del paese è salita un’elite finanziaria per nulla legata allo sviluppo della produzione e del mercato interni; la principale risorsa del paese, a tutt’oggi, è rappresentata niente  meno che dalle rimesse economiche inviate dai numerosi emigranti!

La forza politica egemone per molto tempo è stata il Partito Comunista della Repubblica di Moldavia, diretto erede dell’ala moldava del PCUS e facente parte del Partito della Sinistra Europea di Tsipras; tale partito dal 2001 al 2009 ha espresso il Presidente della Repubblica (eletto dal Parlamento) nella persona del Segretario Vladimir Voronin. I Governi del Partito Comunista sono stati segnati da un atteggiamento di equilibrio fra l’apertura graduale verso l’Unione Europea e l’esigenza di tenere in vita il settore agricolo locale che però è uscito stritolato da un percorso accelerato di avvicinamento al polo imperialista europeo; comunque, gli assetti fondamentali del padronato moldavo non sono stati intaccati, come ci si aspetterebbe da un governo gestito da un partito comunista, anzi il suo atteggiamento è parso più simile a quello cerchiobottista dell’ucraino Yanukovic.
Il primo momento di inasprimento dello scontro si ha nel 2009, quando il Parlamento neo-eletto va in empasse e non riesce ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica allorché tutti i partiti filo-imperialisti si alleano per impedire la rielezione di Voronin, nonostante il Partito Comunista sia ancora saldamente il primo partito.
Ne scaturisce una sorta di rivoluzione colorata o di piccola Maidan moldava, in cui i manifestanti, guidati dalle componenti politiche filo-occidentali, danno l’assalto al Parlamento, forzandone lo scioglimento per dare luogo a nuove elezioni. Stavolta la coalizione dei partiti filo-imperialisti, pur dovendo fronteggiare il Partito Comunista ancora in maggioranza relativa, riesce a dar vita ad un proprio Governo e ad eleggere un proprio Presidente, Timofti; l’accelerazione nell’integrazione europea, presentata come la panacea di tutti i mali da una martellante propaganda culmina con la firma di un trattato di associazione all’UE, simile a quello imposto a Poroshenko.
Il risultato principale di tale trattato è quello di distruggere il settore agricolo moldavo, che nulla può nella competizione con i colossi europei; la situazione economica precipita ulteriormente con l’imposizione di controsanzioni a tale settore da parte della Russia in conseguenza della crisi ucraina, nella quale gli avventuristi dirigenti moldavi hanno improvvidamente giocato il ruolo di falchi filo-imperialisti: quello russo, infatti, era il principale mercato di assorbimento dei prodotti moldavi.

Così gli agricoltori, assieme ad altri settori popolari, sono scesi in piazza in massa negli ultimi mesi, dando vita a grosse manifestazioni e blocchi stradali con annesse minacce di marciare nella capitale Chisinau.

Ora siamo giunti alla resa dei conti, atteggiamenti di equilibrismo non paiono più possibili dall’inasprimento della competizione globale. Da una parte ci sono il Partito Democratico, il Partito Liberal-Democratico (l’uno osservatore del Partito Socialista Europeo, l’altro membro del Partito Popolare Europeo, quindi una grande coalizione in salsa moldava) e il Partito Liberale, favorevoli all’integrazione piena nell’UE e, pertanto, espressione dell’elite padronale finanziaria e parassitaria, dall’altra parte vi sono il Partito Socialista della Repubblica di Moldavia (che non ha associazioni internazionali) e il partito Patria, favorevoli invece ad un programma di massiccio intervento dello stato in economia, alla salvaguardia dei settori produttivi, di incremento dello stato sociale e, soprattutto, di associazione del paese all’Unione Doganale, accordo di integrazione economia cui, attualmente, partecipano Russia, Bielorussia e Kazakistan e che nel 2015 diventerà Unione Euroasiatica, ampliandosi ulteriormente. In mezzo ai due schieramenti c’è il Partito Comunista, il cui programma è poco chiaro sulla politica estera, in quanto ripropone l’equilibrismo proposto durante gli otto anni di governo (non tenendo conto delle accelerazioni degli ultimi tempi) e sembra, quindi non aver abbandonato l’aspirazione all’integrazione europea: sull’accordo di associazione con l’UE si dice semplicemente che il paese “non era pronto” a firmarlo, senza esprimerne una contrarietà di principio. Secondo un sondaggio condotto dall’Institute of Public Policy, finanziato da Soros, quindi non sospettabile di voler orientare i consensi in direzione di partiti fortemente indirizzati verso un’alleanza con la Russia, come il Partito Socialista e Patria, questi ultimi e il Partito Comunista potrebbero ottenere insieme dai 53 ai 55 seggi, mentre i tre partiti favorevoli all’integrazione europea sarebbero a quota 47-50, su 101. Tuttavia, la strada per approdare ad un’alleanza fra comunisti, socialisti e Patria, la quale porterebbe a disdire il trattato di associazione con l’UE, sarebbe fortemente orientata verso la Russia come partner politico-economico privilegiato e, forse, secondo l’organizzazione rivoluzionaria ucraina Borotba (http://borotba.su/european_integration_for_the_elite-_who_will_win_the_elections_in_moldova.html), sarebbe persino in grado di intaccare lo strapotere degli oligarchi locali, appare impervia. Secondo molti analisti politici, infatti, il Partito Comunista sarebbe più orientato ad una clamorosa alleanza con i partiti filo-imperialisti; al momento, come si può leggere anche sui siti ufficiali, la dialettica fra comunisti e socialisti è molto molto aspra e non lascia per nulla intravedere una futura alleanza: sono in ballo accuse di voler modificare i regolamenti e le soglie di sbarramento in extremis a danno dei socialisti.
Se lo scenario della super-alleanza filo UE di democratici, liberali, liberal-democratici e comunisti dovesse inverarsi, il Partito Comunista scriverebbe una pagina nerissima nella storia della Sinistra Europea, che potrebbe anticipare altre pagine nere (dove per pagine nere si intende di subalternità all’imperialismo europeo) in altri paesi del continente.
Alla luce di questi eventi, quella dell’attitudine verso l’UE, riforma o rottura, si pone sempre più come una linea di demarcazione all’interno della sinistra di classe e radicale europea: atteggiamenti di equilibrismo, consapevolmente o meno, diventano sempre di più la foglia di fico della subalternità di fatto all’imperialismo europeo.

Al di là di questi risvolti, la tensione in Moldavia è palpabile, una nuova situazione di empasse sembra possibile, come non è da escludere una precipitazione “di tipo ucraino” dello scontro; anche qui la situazione è complicata dal fattore etnico, che ricalca in parte le divisioni politiche: ad una grande maggioranza di rumeni (70%), si affiancano forti minoranze di ucraini e russi; i partiti filo-imperialisti guardano maggiormente ai rumeni, mentre i partiti filo-russi si pongono anche come espressione organica delle popolazioni di etnia e cultura russa; più trasversale è il Partito Comunista.

Ulteriore fattore di tensione è rappresentato dalla questione ancora aperta della Transnistria, che ha da sempre complicato i rapporti con Mosca (e con l’Ucraina): la piccola regione a maggioranza russa al confine con l’Ucraina, si è dichiarata uno stato indipendente di fatto (inalberando, per altro, la bandiera della Moldavia Socialista) nel 1990 senza alcun riconoscimento internazionale; su di essa la Moldavia rivendica piena sovranità e, nei primi anni ’90, ha compiuto anche sanguinosi attacchi militari, provocando il dispiegamento di un contingente russo sulla frontiera con la regione indipendentista a seguito di un precario accordo ancora attualmente vigente. Dopo il referendum che ha segnato l’annessione della Crimea alla Federazione Russa, il Governo de facto della Transnistria ha chiesto di fare altrettanto, provocando l’inasprimento delle tensioni fra Chisinau e Mosca.

Staremo a vedere come evolverà questo scontro, che può rappresentare l’ennesima miccia in grado di far deflagrare un ennesimo conflitto di vaste proporzioni alla periferia dell’Unione Europea.

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