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Messico in piazza contro il terrorismo di stato. Trovati i resti di uno studente di Ayotzinapa

La notizia dell’identificazione dei resti del diciannovenne Alexander Mora Valencia, uno dei 43 normalisti desaparecidos il 27 settembre scorso ad Iguala, è arrivata proprio nel corso dell’ennesima giornata di mobilitazione per esigere giustizia per gli studenti di Ayotzinapa e le dimissioni del presidente Peña Nieto, tingendo di lutto la protesta che ha nuovamente movimentato le piazze messicane in una data per niente casuale: il 6 dicembre, ovvero il centesimo anniversario della presa di Città del Messico da parte dell’Ejercito Libertador del Sur di Emiliano Zapata e della División del Norte di Francisco Villa.

La notizia della morte di Alexander è stata confermata anche dal gruppo di antropologi forensi argentini che lo hanno comunicato ai genitori delle vittime nel tardo pomeriggio di venerdì, sostenendo che gli esami genetici hanno confermato che il frammento osseo ed il dente contenuti all’interno della borsa ritrovata nel fiume San Juan nei pressi della discarica di Cocula appartengono al ragazzo. I periti hanno inoltre comunicato che sono ancora in attesa dei risultati delle analisi di altri 17 campioni.

Secondo quanto hanno raccontato alla stampa da Ezequiel Mora Chora, padre del ragazzo, e Vidulfo Rosales, avvocato dei familiari e presidente del Centro de Derechos Humanos de la Montaña de Tlachinolla, governo e periti erano al corrente dei risultati delle analisi da un paio di giorni, e questo avrebbe giustificato le recenti dichiarazioni del presidente che, nei giorni scorsi, dopo aver cercato inutilmente di impossessarsi dello slogan ‘Ayotzinapa somos todos’, aveva invitato i familiari delle vittime e coloro che protestano in tutto il paese a superare il lutto e il dolore per la strage e a fare un passo avanti per ritornare alla normalità. Il che ha provocato reazioni indignate da parte di diversi settori della società, arrabbiati per il tentativo di minimizzazione messo in opera da Peña Nieto.

Ezequiel Mora e Vidulfo Rosales, inoltre, hanno espresso dubbi rispetto al posto in cui la versione ufficiale sostiene di aver trovato i resti in questione, dichiarando che, durante l’operazione della procura generale della repubblica (PGR) nella discarica di Cocula, ai forensi argentini non era stato permesso l’accesso, per cui il sospetto che inquirenti e governo abbiano semplicemente fretta di chiudere il caso per cercare di smobilitare la protesta resta ancora forte e, di conseguenza, familiari e Unión de Pueblos y Organizaciones del Estado de Guerrero (UPOEG) continueranno a cercare vivi gli altri 42 normalisti. Il padre di Alexander ha infine rivolto un appello alla società messicana perché non spenga la richiesta di giustizia per Ayotzinapa.

Rispetto alle mobilitazioni, che anche in quest’occasione hanno avuto un rilievo internazionale, pare proprio che la strategia del terrore portata avanti da governo e polizia durante le ultime settimane non abbia intimidito gli uomini e le donne che da un paio di mesi denunciano la strage e le sparizioni di stato e che, con lo slogan “fuera Peña!”, stanno indicando un chiaro desiderio di rottura all’interno della realtà politica messicana.

La capitale del paese ha di nuovo visto sfilare una imponente manifestazione. A partire dalle 16, migliaia di persone hanno inondato Paseo de la Reforma, il lungo vialone che collega l’Angel de la Independencia al Monumento de la Revolución, dove oltre tre ore e mezza più  tardi si è conclusa la mobilitazione con una serie di interventi da parte del comitato di genitori e compagni dei normalisti e di altri organizzazioni sociali.  

La mobilitazione è stata aperta dai familiari e i compagni delle vittime, seguiti da delegazioni di normalisti provenienti da diversi stati della repubblica, studenti medi e universitari della capitale e non solo, organizzazioni sociali come il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco (FPDT) ed il Frente Popular Francisco Villa Independiente (FPFVI), nonché una numerosa delegazione di maestri della combattiva Sección 22Coordinadora Nacional (CNTE), solo per citare alcune realtà. Inoltre, hanno partecipato intere famiglie e tantissime individualità non organizzate.

Da sottolineare la presenza delle organizzazioni contadine appartenenti al movimento Sin Maíz No Hay País (“Senza mais non c’é paese”), da anni in lotta contro lo strapotere delle multinazionali agroalimentari e per la sovranità alimentare. Queste si sono mobilitate a partire da giovedì con iniziative che hanno avuto lo scopo di aggregare le tematiche specifiche e le rivendicazioni della lotta del mondo contadino alla protesta nazionale in solidarietà con i normalisti e contro il governo. Durante la mattinata, invece, si è svolta una cavalcata verso il centro, mentre sono state bloccate le principali vie di accesso alla città. Nei giorni scorsi, invece, con 43 trattori avevano sfilato per il centro storico in solidarietá con gli studenti desaparecidos della scuola normale rurale Isidro Burgos.

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All’interno del corteo è stata gridata anche l’esigenza di liberare Bryan Reyes e Jaqueline Santana, detenuti il 14 novembre scorso dopo un fallito tentativo di sparizione forzata portato avanti da alcuni agenti federali in borghese. Gli studenti, accusati di furto aggravato ai danni di un poliziotto, sono in sciopero della fame dal 20 novembre scorso e, insieme alla loro liberazione, stanno chiedendo quella degli oltre 700 detenuti politici rinchiusi nei penitenziari messicani. A questo proposito, va segnalato l’arresto di Gibrán Salazar Ramirez, studente della Scuola Nazionale di Antropologia e Storia (ENAH), fermato da una ventina di poliziotti della capitale attorno alle 18.30 appena fuori dalla fermata della metro Balderas e prima ancora che potesse raggiungere il corteo. 

Indignazione e rabbia si sono fatte sentire quando Felipe de la Cruz, portavoce dei genitori, ha comunicato ai migliaia di manifestanti che affollavano il Monumento a la Revolución i risultati delle analisi forensi. Durante gli interventi successivi, Omar García, a nome dei normalisti di Ayotzinapa, ha sostenuto che la conferma della morte di Alexander non ferma la lotta, e che il movimento non ha intenzione di fare passi indietro, dichiarando che d’ora in avanti, i normalisti non riconosceranno il governo di Peña Nieto. Per quanto riguarda le richieste, invece, il movimento esige il castigo per gli assassini di Alexander, la “restitución con vida” degli altri 42 normalisti ancora considerati desaparecidos, nonché le dimissioni del presidente Peña Nieto. 

* Da Città del Messico

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