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Giappone, astensione record: i comunisti raddoppiano, vince Abe

Vittoria inequivocabile per l’ex primo ministro giapponese, il nazionalista Shinzo Abe, che alle elezioni anticipate da lui stesso convocate per ottenere un plebiscito popolare nei confronti della sua politica economica ha conquistato ieri con la coalizione che lo sostiene circa due terzi dei seggi in Parlamento. Ben 326 su 475 i seggi conquistati alla Camera Bassa con un ulteriore rafforzamento rispetto allo scenario precedente. In realtà il partito di Abe – i Liberaldemocratici – hanno conquistato 291 seggi, perdendone quattro, passati agli alleati del Komeito che hanno raggiunto quota 35.

Buona performance per il governo uscente riconfermato dalla urne, a fronte di una performance deludente delle opposizioni che si sono presentate divise e senza proporre grandi alternative rispetto alla cosiddetta Abenomics che finora si è rivelata assai deludente con un aumento della disoccupazione, un calo del potere d’acquisto di famiglie e lavoratori e una contrazione non indifferente del Pil. Non è un caso che lo schieramento che sostiene Abe ha condotto la breve campagna elettorale all’insegna dello slogan “non c’è alternativa”.
Da sottolineare l’astensione record in un paese dove fino ad ora la partecipazione alle competizioni elettorali è sempre stata consistente. Ieri al voto sono andati soltanto il 53% degli aventi diritto, di fatto il minimo storico di partecipazione.
Le elezioni hanno sancito uno stop alla pretesa di rimonta del Partito Democratico, principale forza politica dell’opposizione, che è aumentata sì da 62 a 73 seggi ma rimanendo lontanissima dal traguardo che si era prefissato, quello di sfidare i Liberaldemocratici per strappare ad Abe il governo del paese. Il segretario del partito Banri Kaieda ha già fatto sapere che si dimetterà visto il fallimento della sua strategia.
L’unica forza politica d’opposizione che si è rafforzata è stata il Partito Comunista che ha intercettato una parte del voto di protesta popolare e ha visto il proprio elettorato ‘militante’ pesare di più visto il crollo del numero di voti espressi durante le operazioni elettorali di ieri. I comunisti hanno più che raddoppiato i propri seggi arrivando a 21 parlamentari dagli 8 che avevano nella precedente assemblea.
Durante la campagna elettorale i comunisti hanno chiesto di abolire l’aumento delle imposte sui consumi e che il Giappone resti fuori dal Trans-Pacific Partnership, il trattato commerciale regionale (gemello del Ttip con l’Unione Europea) voluto dagli Stati Uniti e favorito da Abe. Il leader del Partito Comunista Kazuo Shii si è inoltre opposto al riavvio delle centrali nucleari chiuse dopo il disastro di Fukushima nel 2011, così come alla rivisitazione della costituzione in chiave militarista e nazionalista.

Da segnalare anche l’ottimo risultato nell’isola di Okinawa, dove il partito di governo non ha ottenuto nessuno dei quattro seggi a disposizione e a vincere la contesa sono stati gli oppositori al piano governativo che prevede l’apertura a Henoko di un nuovo aeroporto a disposizione dei Marines statunitensi già stanziati su un territorio che da tempo li vuole cacciare. Un grattacapo non indifferente visto che lo spostamento della base di Futemma a Henoko, a nord di Okinawa, è uno dei pilastri dei rapporti strategici con gli Stati Uniti.

Secondo la stampa nipponica il premier dovrebbe insediare il nuovo esecutivo già il prossimo 24 dicembre, simile al precedente ma con alcune sostituzioni tra i ministri. Allo studio c’è già una nuova manovra che prevede misure tendenti, almeno nelle intenzioni, a combattere la recessione e a impedire un ulteriore calo del potere d’acquisto di salari e pensioni, falcidiate dall’umento dell’Iva dal 5 all’8% varato in primavera. Per ora Abe ha posticipato il previsto ulteriore aumento dell’Iva al 10%, decisione che il primo ministro ha messo al centro della sua campagna elettorale affermando che convincerà gli imprenditori ad aumentare i salari prima di mettere in atto la prevista misura.
Nel corso di una conferenza stampa Abe ha già annunciato che non intende rinunciare al riarmo del Giappone e ad una proiezione delle forze armate del paese a livello internazionale, che tensioni e polemiche hanno già generato con la Cina ma anche con altri paesi dell’area teoricamente alleati di Tokio o comunque nell’orbita statunitense (Corea del Sud e Filippine in particolare). 
Nel mirino c’è l’articolo 96 della Costituzione, che regola le procedure di riforma, e l’articolo 9 che impone a Tokyo un relativo disarmo. Il governo ha già allentato il divieto dell’export di armi o componenti a uso militare, ha creato un Consiglio nazionale di sicurezza e ha deciso a luglio di reinterpretare l’art.9 per dare al “Giappone la forza di contribuire alla pace”.

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