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Messico: manifestazioni e assedi alle caserme a tre mesi dal massacro di Iguala

A tre mesi dai fatti di Iguala – quando poliziotti e narcos agli ordini delle autorità locali spararono contro gli studenti che manifestavano e ne rapirono 43, da allora scomparsi nel nulla – continuano le manifestazioni in tutto il Messico per chiedere verità e giustizia per i desaparecidos di Ayotzinapa.

Venersì la manifestazione più partecipata è stata quella che ha sfilato a Città del Messico verso Piazza della Rivoluzione passando per il centro della capitale dopo esser partita dal Paseo de Reforma. In testa al corteo, all’insegna dello slogan “Se li sono portati via vivi, li rivogliamo vivi” i familiari e i compagni degli studenti “normalisti” arrivati dal Guerrero che mostravano le gigantografie delle foto dei desaparecidos, accompagnati da molti insegnanti e studenti e da delegati dei sindacati e di alcune organizzazioni politiche di sinistra. 
Visibili gli spezzoni della Università Nazionale Autonoma, dell’Istituto Politecnico Nazionale, dell’Università Autonoma Metropolitana, dell’Università Autonoma di Città del Messico e dell’Istituto di Istruzione Media Superiore così come quelli dell’Organizzazione Politica del Popolo e dei Lavoratori, del Sindacato Messicano degli Elettricisti, del Cordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Istruzione, i contadini di San Salvador Atenco.
I genitori e i compagni delle vittime, nonostante il periodo natalizio, hanno deciso di scendere di nuovo in piazza per la quinta giornata di mobilitazione generale. “Se pensavano che saremmo rimasti con le mani in mano perché è Natale non hanno capito nulla. Se non c’è Natale per noi non ci sarà neanche per loro” ha detto uno dei promotori della manifestazione parlando dal palco collocato alle spalle del monumento all’insurrezione messicana del 1910.
I manifestanti rigettano e contestano la versione ufficiale confezionata dalla procura che mira a circoscrivere le responsabilità del massacro alle autorità locali e alla gang di narcotrafficanti dei Guerreros Unidos, lasciando fuori le connivenze e le responsabilità dirette delle istituzioni e della politica statale. Tant’è che il 24 dicembre un folto gruppo di familiari ha tentato di arrivare fino a Los Pinos, la Residenza del presidente Enrique Peña Nieto, che i dimostranti accusano esplicitamente. “Il governo non ha risposto né ha fatto nulla per risolvere il problema. Esigiamo la punizione dei colpevoli e che venga fatta giustizia” hanno affermato mentre un plotone di poliziotti impedivano loro di avvicinarsi alla sede istituzionale.
Nell’intervento finale dal palco a Città del Messico i promotori hanno lanciato un chiaro messaggio chiedendo al popolo messicano di boicottare le elezioni del 2015: “Vi chiediamo di non votare finché i nostri figli non riappariranno. Nel Guerrero sono previste elezioni l’anno prossimo ma nessun schifoso partito è degno del nostro sostegno. Non ci sarà pace finché non ce li restituiranno”.
Finora le ricerche degli scomparsi sono state infruttuose, nonostante le confessioni di alcuni dei componenti dei Guerreros Unidos, a parte il ritrovamento dei resti di uno dei 43 scomparsi, il diciannovenne Alexander Mora Venancio, confermato dai periti. Il lavoro di identificazione di altri resti trovati nelle discariche e nelle fosse indicate da alcuni dei 70 arrestati – tra politici locali, poliziotti e narcos – potrebbe durare mesi, viste le condizioni dei resti calcinati e il fatto che questi sono stati inviati ad un laboratorio di Innsbruck, in Austria, specializzato negli esami del Dna.
I familiari degli scomparsi sono molto scettici sui risultati delle indagini guidate dalla procura. “Per noi la notte del 26 settembre non è terminata. C’è solo incertezza, rabbia e disperazione. Per noi sono ancora vivi” ha detto José Luís Méndez Pérez, uno studente della Scuola Normal di Ayotzinapa scampato al massacro.
“Li andremo a cercare dove li tengono, nella più oscura delle loro caserme perché loro parteciparono al massacro, hanno oltraggiato e umiliato i ragazzi” ha denunciato uno dei portavoce del comitato.
E proprio ad Iguala, teatro dei fatti del 26 settembre, venerdì centinaia di studenti, familiari e maestri hanno prima assediato e poi fatto irruzione all’interno di una caserma dell’esercito, accusando i militari di aver partecipato all’attacco contro gli studenti o comunque di non essere intervenuti nonostante quello che stava accadendo a poche centinaia di metri dalla loro sede. All’interno della caserma alcuni incappucciati hanno realizzato scritte e distrutto alcuni arredi prima che i militari intervenissero con lanci di gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti.
Ieri, oltre 2.000 manifestanti hanno attaccato una guarnigione militare a Ciudad Altamirano al grido di «Assassini!». Tensione a Cancun dove la polizia ha effettuato degli arresti preventivi di persone che si stavano recando alla manifestazione.

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