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Attentato a Istanbul opera della vedova di un jihadista e non della guerriglia marxista

Sarebbe stata una adolescente del Dagestan l’autrice di un attentato suicida ad Istanbul avvenuto alcuni giorni fa e non l’organizzazione di estrema sinistra Dhkp-c come inizialmente sembrava anche dalla rivendicazione emessa dal Fronte-Partito marxista rivoluzionario di liberazione del popolo ma poi smentita due giorni dopo affermando che si era trattato di un “errore”. Nella rivendicazione del 6 gennaio scorso, il DHKP-C aveva parlato di rappresaglia contro lo Stato turco, colpevole di proteggere “ministri ladri” e di aver ucciso Berkin Elvan, il quindicenne morto dopo 269 giorni di coma per un colpo di lacrimogeno alla testa sparatogli da un poliziotto durante le proteste dell’estate del 2013. L’attentatrice suicida, spiegava un comunicato del DHKP-C, era la giovane Elif Sultan Kalşen, la cui madre, chiamata a riconoscere il suo cadavere, aveva però smentito. A quel punto il DHKP-C ha “ritirato” la rivendicazione specificando che l’errore era dovuto al fatto che era in preparazione un attentato “identico a quello di Sultanahmet”.

L’attentatrice suicida sarebbe stata invece la vedova di un jihadista di nazionalità norvegese e ragazza rimasta uccisa assieme a un poliziotto nell’esplosione da lei provocata in un commissariato della Polizia Turistica a Sultanahmet, quartiere storico megalopoli sul Bosforo. Le autorità turche non hanno mai nominato la ragazza, ma secondo i media turchi e russi si tratterebbe di Diana Ramazanova, 18 anni, proveniente dalla repubblica russa del nord Caucaso.
Secondo il quotidiano Hurriyet era la vedova di Abu Aluevitsj Edelbijev, un cittadino norvegese di origine cecena. La coppia si sarebbe sposata lo scorso anno con una cerimonia religiosa a Istanbul (o in Siria, secondo altre fonti). Hurriyet scrive che Ramazanova è entrata in Turchia a maggio scorso con un visto turistico, mentre Edelbijev è entrato illegalmente. A luglio la coppia ha varcato il confine siriano, unendosi alle milizie dell’Isis che hanno occupato vaste aree del Paese. Lui ha preso il nome di Idris ed è rimasto ucciso in combattimento a dicembre. Lei si è fatta chiamare Sumeyra. Ramazanova è poi tornata illegalmente in Turchia il 26 dicembre prima di compiere il suo attentato il 6 gennaio. Se la ricostruzione del quotidiano di centrosinistra fosse confermata, sarebbe il primo collegamento certo al jihadismo per l’attentato di Istanbul e solleverebbe grossi interrogativi sul cambio di strategia delle organizzazioni jihadiste sostenute attivamente dal regime turco e che ora, di fronte a un allentamento del sostegno da parte di Ankara, avrebbero deciso di rivolgere i loro attacchi sia contro la Turchia sia contro l’Arabia Saudita.
Intanto sei persone, compresi alcuni cittadini stranieri, sono state arrestate e sono interrogate dalla polizia turca.

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